Dal mio libro: Giordano Bruno – L’apostolo dell’Infinito.
È a quel punto che Giordano Bruno, come riferì uno dei testimoni esterni alla lettura della condanna, Kaspar Schoppe, si alzò in piedi e… con volto minaccioso, tra il trepido stupore degli astanti, rompendo il silenzio, gridò a’ Cardinali inquisitori: “Forse con maggiore timore pronunciate contro di me la sentenza, di quanto ne provi io nel riceverla.”
Giordano Bruno fu consegnato al Governatore di Roma, per l’esecuzione della condanna che sarebbe dovuta essere eseguita il 12 febbraio, e tradotto nelle carceri di Tor di Nona, ma all’ultimo momento la data del supplizio fu posticipata al giovedì 17. Non si conoscono i motivi di questo differimento.
Resta, nella mente di ogni uomo che crede che i problemi ed i conflitti non si risolvono con la violenza, l’immagine di un uomo non molto alto, certamente piegato nel fisico come poteva essere un cinquantenne sottoposto a otto anni di carcere ed almeno due torture, spogliato di tutto ma non di una odiosa mordacchia, il pezzo di legno che bloccava la bocca e la lingua ad evitare di poter pronunciare qualsiasi parola, legato ad un palo infisso su un fascio di legna secca, bruciato ancora vivo.
Una cosa sola non potevano sapere i suoi carnefici: al rogo avevano condannato sì un uomo ma anche una fenice; e, come ogni fenice, il pensiero che volle essere cancellato nel fuoco in quell’empio giorno, 17 febbraio 1600, dal fuoco riprese forza per ritornare orgoglioso alla Vita.
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