Come non può balzare agli occhi che il primo dei cinque dialoghi che compongono questa che è l’Opera centrale del pensiero bruniano sia una sorta di rivisitazione de La Cena de le Ceneri. Ma s’è visto mai?!? Uno scrive un libro, qualunque sia il suo oggetto, e in esso parla di un altro suo libro… roba da matti!
Eppure quest’originale operazione di marketing fu fruttuosa; e comunque si era resa indispensabile affinché l’opera vedesse la luce e non fosse fagocitata dal nemico Oceano, che la Storia fa, rappresentato dall’Intellighentia del tempo o dalla voracità del Tempo che, senza questo lungo preambolo, avrebbe divorato questa piccola Musa Nolana in fasce, come Kronos mangiava i suoi figli.
La piccola Musa Nolana. L’orgoglio del filosofo per la sua Terra natìa era così potente che già in premessa egli vuole mostrare al mondo chi egli sia, di quale nobile Terra sia figlio; ed ecco la Nolana Musa ad ispirare quella che sarà esibita e illustrata in Europa da Giordano Bruno come la Nolana Filosofia.
L’utilizzo di proemi, epistole proemiali, di ‘corpose’ dediche erano strumento comune nel panorama letterario del Rinascimento e Bruno non si esime da tale tecnica, dall’uso di questo strumento. Ma quest’opera mostra un’epistola ben definita e delineata; la sua è una struttura molto scarna, persino didascalica forse perché carica di molti contenuti sapienziali, ma forse anche perché, essendo l’oggetto molto delicato e spinoso non era il caso di affrontarlo in modo superficiale in nessuna delle sue parti.
Le lezioni di ottica di Bruno sono ripetute, nelle sue opere; nella Cena de le Ceneri prima e nello Spaccio poi, per non parlare degli accenni ne Gl’Eroici Furori mentre è persino superfluo ricordare quelle nel De Infinito.
Qui, il Nolano ne dà saggio addirittura nel proemio: …bisogna uscire prima che voler entrare alla più speciale e appropriata cognizione de le cose.
La parola magica per ben comprendere il messaggio bruniano è equilibrio. Equilibrio, armonia, amore: sono le tre forze su cui si regge l’Universo. I signori scienziati (quelli che si definiscono tali, da Galilei in poi) possono teorizzare tutte le funzioni matematiche che riescono a pensare (qualche volta ad inventare) ma senza quelle tre forze non esisterebbe l’Universo, e noi con esso.
E Giordano Bruno ammonisce subito sulla tecnica di osservazione della Realtà, a qualsiasi livello; come l’occhio, la mente umana rischia di deformarne l’essenza qualora guarda la Natura troppo da vicino, o da lontano. La miopia e la presbiopia sono rischi in cui la mente incorre al pari dell’occhio. Nella parte più infinitesimale dell’universo è compendiata l’essenza del tutto, in essa è compresa la complessità del creato, e quindi è difficile guardare e comprenderlo osservandolo troppo da vicino, la vista si confonde e la mente è come assalita da una moltitudine di concetti che si sovrappongono l’uno all’altro non permettendo di focalizzare adeguatamente i singoli aspetti. Il verbo fondamentale è appunto focalizzare. Un fotografo, un pittore sa perfettamente che per mostrare il soggetto del proprio lavoro nei particolari ma senza perdere di vista la visione d’insieme bisogna distanziarsi dall’oggetto di osservazione; dentro c’è confusione, è da fuori che si distingue bene il senso delle cose e quindi, come un fotografo, il nostro intelletto deve porsi ad una giusta distanza dall’universo per apprezzarlo nella sua intima essenza. È, questo, un primo messaggio che Bruno ci affida per la lettura della natura e della sapienza in genere.
I temi trattati nell’opera preoccupavano non poco Giordano Bruno per le implicazioni religiose che ne derivavano, a maggior ragione dopo i falliti tentativi di avvicinare l’establishment culturale inglese culminati con la disputa della fatale sera della cena delle Ceneri. In essa egli non metteva solo in discussione la filosofia di Aristotele, né ridisegnava solo il cosmo e le forze della natura, ma affrontava criticamente molti punti fermi della cultura religiosa del tempo, sia quella cattolica che quella protestante; sia ben chiaro, il filosofo non intendeva certo mettere in discussione i principi centrali della sua Fede, quella cattolica; ma era consapevole che, agli occhi miopi e alle mentalità grette e stoltamente rigide delle alte sfere ecclesiastiche, le sue teorie sarebbero state viste come rivoluzionarie rispetto alla stessa idea di Dio; e per la verità, in periodo di riforma tale timore era legittimo. Per questo motivo, ripetutamente nell’opera egli precisa che la sua visione di Dio è quella ortodossa. Questa operazione viene intrapresa già nell’epistola, sottolineando l’impossibilità da parte dell’uomo di comprendere e conoscere Dio; nell’argomento del terzo dialogo al dodicesimo punto Bruno afferma …l’intelletto non può capir questo absolutissimo atto e questa absolutissima potenza. L’argomento è sicuramente il più controverso per la critica bruniana giacché è pensiero comune, tra i più accreditati studiosi del filosofo, che lui intenda far coincidere l’uomo con Dio; che sia un materialista; persino che non creda nell’esistenza di Dio. Bruno invece distingue, inequivocabilmente, Dio Padre dal Demiurgo, che è la sua prima emanazione; è questa seconda figura che è l’oggetto dello studio di quest’opera, è il Demiurgo la Causa, Principio e Uno di cui discorre; perché Dio Padre è inconoscibile ed incomprensibile alla mente umana e di Lui Bruno non discute né intende discutere, né alcuno, sottolinea, deve provarci. Con il De la Causa… Bruno intende armonizzare in un’unica teoria filosofica tutte le precedenti trovandone i punti di contatto, ed isolando quegli aspetti che porterebbero a situazioni inconciliabili tra le varie scuole di pensiero. Riguardo alla concezione di Dio egli si richiama a quella espressa da Ermete Trismegisto nel Poimandres, e ad evitare dubbi sulla doppia essenza tra il demiurgo e Dio (per Dio nessuno sarà, comunque in grado di “pensare” un’essenza, nell’accezione ipotizzabile da mente umana) afferma appunto: …l’intelletto non può capir questo absolutissimo atto e questa absolutissima potenza; e dopo passa a dimostrare di aver bene capito l’atto e la potenza manifestati nel demiurgo.
Altro messaggio fondamentale della Nolana Filosofia, formulato in modo sublime in quest’Opera è la Coincidentia Oppositorum. Già nelle prime frasi dell’epistola se ne possono vedere alcuni richiami: …Voi, dunque, dotato di doppia virtù per cui son potentissime le liquide e amene stille, e vanissime l’onde rigide e tempestose.
Per ogni no c’è sempre un sì, per ogni ma c’è sempre un se canticchiava il Merlino di Walt Disney ne La spada nella roccia; accettare questa semplice verità permette la corretta comprensione degli eventi e delle cose e nel contempo evita di assumere posizioni oltranziste e stupidamente rigide; la coincidenza degli opposti non è solo un principio filosofico, ma anche un’àncora di salvezza per spiriti troppo bellicosi. Bruno avrebbe fatto bene a ricordarsene più spesso, qualche guaio l’avrebbe evitato.
Il concetto di opposto in Bruno è l’espressione dell’unità duale: in ogni entità coesistono due lati, l’uno opposto all’altro, le due facce della stessa medaglia, l’essere e la sua ombra; non può esistere alcunché che non abbia anche il seme del proprio opposto giacché quello è il seme di ambedue le manifestazioni dell’essere. La coincidentia oppositorum, quindi, non è altro che l’affermazione dell’unità.
La sintesi dei contrari, invece, individua un traguardo: la pienezza delle possibilità dell’essere; a ciascuno è data la possibilità di scelta; scelta tra due azioni contrastanti tra loro: i contrari, appunto, che sono quindi il risultato dell’azione dell’individuo, egli può scegliere due direzioni nella propria azione, direzioni contrarie tra esse, ma entrambe espressione della potenzialità del soggetto.
Nella sintesi dei contrari c’è la massima espressione dell’UNO; questa verità è verificabile matematicamente [un numero moltiplicato con il suo inverso (contrario, non opposto) è uguale sempre ad uno (es.:2x ; 3x ecc.); opposti sono invece 2 e -2, 3 e -3 ecc.]; essa è verificabile anche logicamente [il caldo ed il freddo sono contrari di un unico principio che è il calore: tale principio [il calore], infatti, ha senso solo se contempla il caldo quanto il freddo; e dal massimo caldo ci si muove verso il freddo, e viceversa].
Nella coincidentia oppositorum per contro c’è l’annichilazione dell’individuo: annullamento, però, nell’unum; matematicamente parlando se si sommano due termini opposti, infatti, si otterrà sempre lo zero (2 e -2; 5 e -5, ecc.); ciò è verificato anche in fisica, dove l’eventuale incontro tra materia ed antimateria porterebbe alla scomparsa di ambedue le entità, e alla formazione di un buco nero che è la massima espressione di energia, non il nulla; infatti lo zero È un numero, esiste; esso è l’espressione del vuoto, non del nulla; e vuoto e nulla sono due concetti ben differenti come ci insegna Bruno.
La ricerca di una più raffinata e completa conoscenza non deve farci dimenticare, in fine, che esiste una forza nell’universo che tende sempre al riequilibrio del Tutto; è questa la Verità, per cui se da un lato riusciremo a svelare i segreti della Natura dall’altro ella si rinasconderà a noi sotto altre forme; e quindi …Profonda magia è saper trar il contrario dopo aver trovato il punto de l’unione. Il che significa che non è neppure sufficiente comprendere che in ogni cosa c’è il suo opposto, ma bisogna altresì essere in grado di trovare anche i punti di convergenza da posizioni a prima vista inconciliabili. Bruno in quest’opera tende, appunto, ad effettuare questa profonda magia cercando i punti di contatto tra le varie dottrine filosofiche.
Lascia un commento