Ripetutamente nelle sue opere Bruno lega la Creazione alla Bontà divina e al decimo punto si chiede perché l’Infinita Bontà avrebbe dovuto creare un solo mondo come il nostro, e non infiniti, pur accettando (undicesimo punto) che potrebbe non esservene uno simile.
Al dodicesimo punto, il Nolano afferma che nell’Unico ente infinito possono ben esserci infiniti “enti finiti”.
Nel tredicesimo punto Bruno delinea la sua visione di infinito universo
noi non ponemo l’infinito per la dignità del spacio, ma per la dignità de le nature; perché per la raggione, da la quale è questo, deve essere ogni altro che può essere, la cui potenza non è attuata per l’essere di questo
Nei successivi tre punti vengono esposte motivazioni ontologiche all’infinità dell’Universo.
Nel diciassettesimo punto si dichiara la continua evoluzione della Terra; non è certo un principio darwiniano ma… gran bel salto rispetto all’immutabilità ed unicità della creazione così come imposta da chi vuole interpretare letteralmente le Sacre Scritture, cosa aspramente e continuamente contestata dal Nolano.
Nel diciottesimo punto è presente un altro assalto alle teorie aristoteliche sulla convessità dei mondi e la concavità dei cd. Orbi.
Agli ultimi due punti vengono ribadite le tesi proposte rispettivamente al secondo e a decimo punto.
Proseguendo l’analisi proposta nel primo dialogo, Bruno nel secondo,
primo, apporta quattro raggioni, de quali la prima si prende da quel, che tutti gli attributi de la divinità sono come ciascuno. La seconda, da che la nostra imaginazione non deve posser stendersi più che la divina azione. La terza, da l’indifferenza de l’intelletto ed azion divina, e da che non meno intende infinito che finito. La quarta, da che, se la qualità corporale ha potenza infinita attiva, la qualità, dico, sensibile a noi, or che sarà di tutta che è in tutta la potenza attiva e passiva absoluta?
Il secondo dialogo, quindi, parte con alcune considerazioni di ordine ontologico. Ancora una volta il Nolano conferma la sussistenza di tre prerogative ben definite nell’Unico Dio e nell’unicità di intelletto ed azion divina e, circa le prerogative dell’uomo, ribadisce il limite dell’immaginazione ai soli accidenti presenti nell’universo.
Al secondo punto
mostra da che cosa corporea non può esser finita da cosa incorporea, ma o da vacuo o da pieno; ed in ogni modo estra il mondo è spacio, il quale al fine non è altro che materia e l’istessa potenza passiva, dove la non invida ed ociosa potenza attiva deve farsi in atto.
Il limite, quindi, di cosa corporea (è evidente che qui Bruno si riferisca ai vari pianeti) non è la cosa incorporea (qui qualcuno crede che il riferimento sia all’universo) È più che evidente che il riferimento sia indirizzato, quanto meno, alle prerogative di Dio, quasi certamente all’Anima Universalis; cosa che dimostra, senza alcun dubbio, quanto il Nolano sia lontano da una visione panteistica del cosmo.
Infine, prendendo spunto dalla differenziazione che lui dà tra mondo e universo, contestando la confusione di Aristotele in materia, prosegue nel suo discettare sulle teorie dello stagirita.
Nel terzo dialogo, avverte Bruno, verranno esposte tutte le contestazioni di natura precipuamente cosmologica alle tesi aristoteliche; e subito, in partenza, il Nolano sottintende come sia necessario utilizzare termini chiari e distinti a individuare i singoli accidenti di cui si discorre
s’affirma uno essere il cielo, che è uno spacio generale ch’abbraccia gl’infiniti mondi; benché non neghiamo più, anzi infiniti cieli, prendendo questa voce secondo altra significazione;
al secondo punto, Bruno ripresenta la sua teoria sui moti della Terra, che ben aveva analizzato ne La cena de le Ceneri
…realmente pendeno da un moto che fa la terra con il suo centro per l’ecliptica e quattro altre differenze di moto che fa circa il centro de la propria mole.
Al sesto punto propone come prova dei suoi convincimenti un’altra delle sue esperienze ottiche
Sesto, come di corpi, benché altri sieno per sé lucidi e caldi, non per questo il sole luce al sole e la terra luce alla medesima terra ed acqua alla medesima acqua; ma sempre il lume procede dall’apposito astro, come sensibilmente veggiamo tutto il mar lucente da luoghi eminenti, come da monti; ed essendo noi nel mare, e quando siamo ne l’istesso campo, non veggiamo risplendere se non quanto a certa poca dimensione il lume del sole e della luna ne si oppone.
All’ottavo punto è espresso un altro convincimento che si può considerare rivoluzionario
…li mondi se intendeno essere questi corpi eterogenei, questi animali, questi grandi globi, dove non è la terra grave più che gli altri elementi, e le particelle tutte si muoveno e cangiano di loco e disposizione non altrimente che il sangue ed altri umori e spiriti e parte minime, che fluiscono, refluiscono, influiscono ed effluiscono in noi ed altri piccioli animali.
Ecco, quindi, che Bruno paragona l’infinità dei mondi ne l’universo alla molteplicità pressoché incommensurabile delle singole parti del corpo umano, quasi a porre in parallelo ogni accidente creato da Dio, tutti composti da infinite parti. E subito dopo, propone come possibile l’abitabilità degli altri pianeti ed astri.
E conclude questo terzo dialogo con un ulteriore attacco ai suoi nemici di sempre, pedagoghi, pedanti e saccenti.
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