La prima questione che si presenta alla mente di chi voglia tentare l’esegesi del testo bruniano riguarda gli interlocutori che il Nolano propone nei suoi dialoghi.
Osservando le figure degli interlocutori dei suoi dialoghi, è possibile comprendere, con maggiore approssimazione al vero, quale messaggio Bruno intendesse lanciare, e quale impostazione intendesse dare all’opera.
Nel De l’infinito… vengono presentati, prima, quattro personaggi poi, successivamente un quinto. Trattando di filosofia e di cosmologia, ma sempre tenendo presente il suo ricorso alla Kabbalah, Bruno utilizza quattro interlocutori – e quattro è il numero degli elementi che costituiscono il cosmo -, poi nel quinto dialogo, sostituirà il più debole di essi, dal punto di vista intellettuale, con un interlocutore di livello culturale pari agli altri, a dichiarare il progresso delle sue teorie nella storia e nella cultura.
Il primo personaggio, in cui Bruno si identifica, è Filoteo, l’amante di Dio. L’interlocutore che dava la voce a Bruno nella Cena… e nel De la Causa…era, invece Teofilo; questa inversione di uno stesso nome sembra indicare la piena convinzione nelle sue tesi, allorquando vengono esposte in modo definitivo, cioè nell’ultimo tra i tre dialoghi cosmologici; convinzione espressa da questa originale coincidentia oppositorum mostrata nel nome; e neppure può essere casuale che il nome dell’interlocutore del primo dialogo del De la Causa…(aggiunto successivamente agli altri quattro, in quell’opera) sia proprio Filoteo, e non Teofilo; è la rappresentazione del cerchio che si chiude, la perfezione geometrica, ulteriore espressione della coincidenza degli opposti.
Il secondo personaggio è Fracastorio. Forse a richiamare la memoria di Girolamo Fracastoro (1478/1553) studioso di Eudosso, quindi della visione addirittura pre-tolemaica del cosmo così come era accettata da Aristotele;
Il terzo, Burchio in memoria forse di Domenico Di Giovanni, detto il Burchiello, rimatore e barbiere fiorentino della prima metà del ‘400 noto per i suoi modi burleschi che manifestava nelle sue rime piene di enigmi. È il caso di ricordare che col termine “burchio” si intendono pure una barca a remi dal fondo piatto per la navigazione fluviale, ed una pozza d’acqua fangosa; immagini, queste ultime, che ben si adattano al carattere dissacrante del personaggio bruniano.
Il quarto interlocutore è Elpino, forse Giovanni Battista della Pigna, detto Elpino, poeta ferrarese della prima metà del ‘500 e biografo di Ludovico Ariosto, che ispirò sia alcune rime di Francesco Berni (nel capitolo 51 delle rime del Berni, dedicato al Prete da Povigliano, è presente, guarda caso, anche l’astronomo Girolamo Fracastoro; nel capitolo 73 delle stesse rime, invece, compare Elpino; della conoscenza da parte di Bruno di queste rime non v’è dubbio, infatti il Nolano le cita nell’epistola alla Cena delle Ceneri), che l’Aminta di Torquato Tasso; i quali, ambedue, lo mostrano quale pastore saggio, di ispirazione aristotelica, ma aperto anche a più ampie speculazioni filosofiche.
L’interlocutore che comparirà, poi, nel quinto dialogo è Albertino, che rappresenta il Bruno studioso di Aristotele (novello Alberto Magno?), che dallo Stagirita prende il buono della sua impostazione logica e lo combina acutamente con le altre teorie, presocratiche e neoplatoniche, che fanno parte della cultura bruniana; lo fa prendendo, forse, le sembianze di Girolamo Alberini, il più celebrato rappresentante della nobile famiglia nolana, uomo di alti affari, prudenza e dottrina, di grande valore, sia nelle cariche di corte, sia nell’esercito che presso Principi e Pontefici. Esercitò con successo l’avvocatura presso la Gran Corte della Vicaria dal 1533 in poi, fu avvocato dei poveri e, infine, venne promosso Presidente della Regia Camera nel 1541. Il Remondini relativamente alla vita di Girolamo Albertini così scrive:
“Dalla sua conosciuta pietà, e sperimentata dottrina, sperando il S. Pontefice Paolo III, vantaggio ed onor per la Chiesa, lo scelse a XIX di gennaio nel MDXLV per Vescovo di Avellino: sebben’egli, che a questo stato chiamato dal Signore Iddio non si sentiva, differir volle di riceverne la consacrazione, e rinunziò dopo tre anni, senza averla usata giammai, l’esibita Mitra. E l’antica carriera ripigliando fu fatto Reggente nel napoletano Collaterale Consiglio, e crebbe in tal fama, e riputazione appo l’Imperator Carlo V, che sel chiamò ben quattro volte in Ispagna a regolarvi e determinare gli affari di quella sì vasta e potente monarchia e ‘l costituì reggente nel suo Consiglio d’Italia in Madrid. E finalmente abil del pari riconoscendolo nei ministeri della toga, che negli esercizi della guerra il dichiarò nel MDLII Capitan Generale dell’esercito, che dal regno spedì contro i Sanesi.”
Girolamo Albertini, dopo la rinuncia alla dignítà vescovile, fu eletto reggente della Zecca nel 1539, anteriormente cioè alla venuta a Napolí del de Toledo.
Questa figura doveva, quindi presumibilmente rappresentare il “nobile nolano” che partendo da una cultura consolidata (magari seguace di Averroè, quindi rifacentesi alle tesi aristoteliche) sia disposta ad abbracciare la “nuova filosofia” di Bruno: in effetti, Bruno presagiva di essere lo stereotipo del nemo profeta in patria.
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