Qualche giorno dopo, il Doge si recò presso la sede della Nunziatura apostolica per rendere visita a monsignor Ludovico Taverna. Dopo i convenevoli di rito, Pasquale Cicogna affrontò il vero motivo di quella visita: “Monsignore, sono a conoscenza che un insigne uomo di scienza, ospite della Serenissima, è tenuto prigioniero presso le carceri della Santa Inquisizione. In qualità di Primo cittadino di questa Repubblica è mio dovere difendere tutti i suoi figli; ma non posso fingere di non conoscerli. Orbene, è a mia conoscenza che l’unico elemento a carico di questo scienziato, il professor Giordano Bruno, è la denuncia di uno tra i miei figli più amati, il nobile Zuane Mocenigo e questo mi dà molto da riflettere. In primo luogo questo mio concittadino e figlio non brilla certamente per equilibrio e lucidità mentale ma, al di là di ogni considerazione personale, non bisogna dimenticare che la procedura del Processo inquisitorio prevede la presenza di una pluralità di prove a carico ed io non posso permettere che chicchessia sia condannato a Venezia senza un regolare processo.”
“Il Processo si sta svolgendo con la massima regolarità, Vostra Serenità.” rispose il Nunzio Apostolico, “…e i vostri Savi dell’Eresia sono sempre presenti a garanzia della Serenissima, delle sue leggi e della sua rettitudine. In tutta onestà sono molto scontento di questa vostra visita e vi esorto a considerare che ancora non sono venuto a Palazzo Ducale a reclamare, per il Papa, il Vescovado di Ceneda che pure Egli vi ha chiesto con tanto amore. Credo sia il caso di riflettere entrambi su questi due problemi.”
La ben poco velata minaccia del Nunzio Apostolico scosse il Doge che, senza ribattere alcunché, si alzò ed andò via.
Ma la giornata “diplomatica” di monsignor Taverna non era ancora finita. Non erano ancora trascorse tre ore dalla visita del Doge che il Vescovo di Ceneda bussò alla sua porta.
“Monsignore, sono venuto da voi per perorare la causa di un nostro sfortunato fratello.” esordì Monsignor Leonardo Mocenigo, “…Presso le carceri della Santa Inquisizione è detenuto un insigne studioso, il dottor Giordano Bruno, che conosco personalmente e che è un fedele cattolico ed affezionato figlio di Santa Madre Chiesa. Or dunque, quel folle di mio nipote Giovanni, il figliolo di mio fratello Marco Antonio, geloso di costui, lo ha denunciato come eretico. Ma le sue accuse sono solo frutto della sua gelosia e del suo umore bizzarro; l’Inquisizione non può tenerne conto. Intervenite, vi prego presso frà Giovan Gabriele da Saluzzo affinché ripristini la legalità e dia la libertà ad un uomo stimabilissimo e fedele cattolico.”
“Farò tutto ciò che è in mio potere per far rispettare la giustizia. Ma lasciatemi approfittare della vostra presenza qui per ricordarvi che siete sempre uno dei figli prediletti della Nostra Santa Madre Chiesa e di Sua Beatitudine in particolare e che aspettiamo sempre con trepidazione che non dobbiate più essere asservito anche al potere dell’Eccellentissima Serenità, il Doge di Venezia. Il Papa vi chiede di perorare la Sua causa presso messer Pasquale Cicogna riguardo alla Terra di Ceneda, che ama sopra ogni cosa.” rispose il Nunzio Apostolico senza che un solo muscolo del volto denunciasse la sua intensa soddisfazione nel minacciare e ricattare il confratello.
Sconvolto, monsignor Mocenigo lasciò la Nunziatura e rientrò nel suo palazzo, dove restò chiuso per diversi giorni.
Ma egli era anche un uomo d’onore e, non ancora domo, dopo alcuni giorni, andò a S. Domenico di Castello a far visita all’Inquisitore.
“Sono venuto da voi affinché non sia perpetrato un delitto nei confronti di un innocente, frà Giovan Gabriele” esordì il Vescovo… e perorò, anche presso l’Inquisitore, la causa del Nolano.
La risposta dell’Inquisitore lo lasciò, però, senza parole: “Anche io vado convincendomi dell’innocenza del Bruno, Monsignore, e vi giuro che il Processo proseguirà, così come è stato fatto finora, nel pieno rispetto della procedura e terminerà con un’equa sentenza…se sentenza vi sarà. Sapete bene che sono obbligato a spedire a Roma gli atti di ogni procedimento inquisitorio e credo che il Sacro Collegio di Roma intenda avocare a sé la Causa. Il Cardinale Santa Severina sta esercitando una forte pressione su me e sul Nunzio Apostolico affinché questo Nolano sia condannato o quanto meno sia estradato a Roma per essere lì giudicato. In tutta onestà, e come nel segreto della Confessione, però, vi dico che ho l’impressione che ben altri motivi che quelli religiosi impongano la sua condanna e detenzione. Vi posso solo promettere, come già ho detto, che il Processo, qui a Venezia, si svolgerà con la massima scrupolosità ed onestà.”
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