Lasciata la città di Lutero, Giordano Bruno si dirige verso il centro dell’Europa, la sede dell’Imperatore stesso: Praga. Quale percorso abbia seguito è abbastanza facile da immaginare; una volta apprezzata la comodità, la velocità negli spostamenti e, forse, anche l’economicità degli stessi, il filosofo non potette che scegliere la via fluviale, le barche e le chiatte che solcavano, in ambedue i versi, i grandi fiumi tedeschi; pertanto su a risalire l’Elba e poi ancora su per la Moldava fino alla meta.
Siamo certi che abbia usato questo mezzo di comunicazione? Ebbene, come ha fatto notare il professor Anacleto Verrecchia nella sua citata biografia di Bruno, nel sesto libro del De Immenso il Nolano descrive proprio i suoi viaggi sui fiumi e, forse, proprio questo (o quello di ritorno dalla capitale dell’impero):
Guarda: allorché, costeggiando le rive dell’Elba, ti allontani dalle regioni Leucoree e ti dirigi verso l’Oceano germanico, sempre più stelle del polo diverranno per te alte e sempre più si solleverà in alto per te l’Orsa maggiore. Se invece ti dirigi alle sorgenti del fiume, tra i fitti monti boemi, ti avvicinerai a quei luoghi dove sarai più prossimo al tiepido Austro, mentre l’Orsa minore si abbasserà e l’Austro si solleverà e l’Olimpo boreale svanirà alla vista.
Quando si tratta di riferire soggiorni durante i quali le sue frequentazioni erano state alquanto insidiose per la sua dedizione ai precetti della fede cattolica, Giordano Bruno è sempre molto laconico, se non addirittura silente, con i suoi giudici; l’aveva già fatto per i soggiorni a Parigi e lo fa anche per quello a Praga:
“…onde me partì et andai a Praga, et stetti sei mesi; et mentre che mi tratteni là, feci stampar un libro di geometria, il qual presentai all’Imperator, dal qual hebbi in dono trecento talari: et con questi dinari partito di Praga…”
È evidente che il Nolano teme meno di riferire dei suoi contatti con prìncipi e studiosi eretici, per i quali si schernisce adducendo come motivazione i doveri del buon ospite, anziché quelli con i prìncipi di fede cattolica ma con interessi nel campo della magia e dell’alchimia in particolare. Del perché di questa scelta ne discorreremo poi.
Che Praga fosse una meta già in mente di Bruno o vi fosse stata instillata dalle millanterie del Frischlin non è dato sapere; certo è che il filosofo vi soggiornò alcuni mesi, sei dichiara all’inquisizione, per cui è più che evidente che non dovette trovarsi poi tanto male, come era avvenuto a Torino o a Wiesbaden e Magonza.
Del periodo praghese, sempre grazie ad una serie di documenti indiretti, sappiamo che Bruno frequentò Rodolfo II, l’imperatore del Sacro Romano Impero, ma anche il suo medico personale, Gian Maria Della Lama, napoletano d’origine, e l’ambasciatore spagnolo alla corte di Rodolfo, don Guglielmo De Haro, Marchese di San Clemente, discendente di uno dei suoi spiriti guida, Ramon Llull; certamente, a corte, incontrò di nuovo Fabrizio Mordente e non è da escludere che abbia fatto visita a John Dee, che si trovava ancora in Boemia in quel periodo.
Se Bruno sia stato introdotto a corte dalla lettera di raccomandazione che io ho immaginato, scritta dal Frischlin, o dal medico personale dell’Imperatore, il napoletano Gian Maria Della Lama, non è dato sapere; certamente non furono i gesuiti, i quali dirigevano l’Accademia locale, anch’essa situata sulla collina di Prazsky Hrad, nel castello di Hradčany, sede dell’imperatore, una vera e propria cittadella fortificata, che sovrastava, come sovrasta, la città di Praga. Altra ipotesi riguarda il marchese De Haro, al quale il Nolano potrebbe essere stato indirizzato da Don Bernardino Mendoza, l’ambasciatore spagnolo conosciuto a Londra che lo aveva favorito anche a Parigi: potrebbe anche essere stata sua una qual lettera di presentazione.
Comunque, a primavera del 1588, Giordano Bruno è a Praga e viene presentato a corte dove, ben presto, si fa apprezzare dal sovrano tanto da dedicargli un libro di geometria, come dichiarò il filosofo.
L’opera, dal titolo Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos pur non citando direttamente il Mordente riprende, in qualche modo, la disputa che il Nolano ebbe con il matematico salernitano a Parigi; salernitano che, lasciata anche lui Parigi, era entrato nelle grazie di Rodolfo II. In questo lavoro, il Nolano si impegnò a contrastare la visione meccanicistica della natura.
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