Gl’Heroici Furori furono il sesto ed ultimo tra i dialoghi italiani pubblicati a Londra dal filosofo e, sono convinto, con esso il Nolano intese completare un percorso sapienziale con cui offriva ai suoi lettori la summa della Nolana Filosofia.
Con la Cena de le Ceneri Bruno ci offre la sua visione del Cosmo e con il De la Causa, Principio e Uno la sua visione del Divino; con il De Infinito, Universo e Mondi dimostra come non vi sia crasi o incompatibilità tra la nuova visione dell’Universo e l’esistenza di un Dio unico, il Dio in cui ogni Cristiano credeva, qualsiasi fosse la confessione religiosa professata. Risolto il problema astronomico/ ontologico, il Nolano affronta l’altro caposaldo della sua filosofia, quello che esamina il problema morale e… dopo aver suonato le trombe e fatte cadere le mura di Gerico, mura di ipocrisie e false virtù nonché di veri vizi e perversioni, con Lo Spaccio de la Bestia Trionfante provvede alla riforma della Morale; ovviamente quella formale, professata agli albori dell’Umanesimo e utilizzata esclusivamente dalle varie confessioni religiose, per combattere le ultime battaglie delle lotte di religione cominciate in quel XVI secolo e che non permettevano la realizzazione del suo sogno: un’Europa libera, pacificata e, magari, unita sotto un’unica corona (quella di Enrico III di Valois?). Con La cabala dell’Asino Pegaseo porta a termine il percorso di riforma etica ‘recuperando’ alla Sofia la figura di Cristo, che accoglie su di sé la soma dei peccati degli uomini e al tempo stesso il Nolano, velatamente, suggerisce lo strumento utile al superamento delle diatribe religiose: la cultura cabalistica ed ermetica.
A completare il percorso, infine, ecco Gl’Heroici Furori, opera in cui il Nolano canta lo strumento che chiunque può usare per partecipare alla Suprema Festa: l’Amore; non quello sterile e indolente cantato da Petrarca e dai suoi accoliti ma un Amore furioso, verace e sincero: l’Unico Strumento che permette il compimento dell’Ars Magna e quindi il ricongiungimento tra Umano e Divino.
In effetti, d’accordo con la prof. Frances Yates, sono intimamente convinto che Giordano Bruno sia stato uno dei più gradi Maghi della Storia. Ma, attenzione, Mago non è stregone o negromante bensì Sapiente… e il Nolano fu un grandissimo Sapiente.
Ma torniamo alla nostra opera…
È cosa veramente, o generosissimo Cavalliero, da basso, brutto e sporco ingegno d’essersi fatto constantemente studioso, ed aver affisso un curioso pensiero circa o sopra la bellezza d’un corpo femenile.
È l’incipit dell’Opera e, come ogni altro incipit, in controluce denuncia il pensiero dell’autore.
Si parla di donne? Vedrete! Ma siate certi, dice il Nolano, che se si parla di donne parlerò di quelle reali e ne parlerò per quello che sono: esseri di carne ed ossa, non idee o mitiche e sterili figure ispiratrici di vacui sentimenti melensi.
L’opera è offerta all’amico Philip Sidney e viene stampata quando non è ancora placata la eco degli scontri succeduti alla pubblicazione de La Cena de le Ceneri. Il Sidney era uno dei cortigiani più influenti a corte e vincente nell’agone culturale inglese del XVI secolo, dove si affrontavano anime diversissime tra loro; ma Giordano Bruno restava il figlio di quella terra il cui emblema era un vulcano inquieto e tonante; e tonante ed inquieto egli restava sempre e comunque. Ed ecco, subito, in apertura d’opera, l’ennesima stoccata ai suoi avversari, solo parzialmente stemperata dalla dichiarazione di obbedienza e di remissione alle reprimende a cui certamente Philip Sidney, e attraverso lui magari la stessa Regina Elisabetta, gli aveva fatto dopo l’infausto risultato della disputa cosmologica.
“…per liberare tutti da tal suspizione, avevo pensato prima di donar a questo libro un titolo simile a quello di Salomone, il quale sotto la scorza d’amori ed affetti ordinarii contiene similmente divini ed eroici furori, come interpretano gli mistici e cabalisti dottori; volevo, per dirla, chiamarlo Cantica. Ma per più caggioni mi sono astenuto al fine: de le quali ne voglio referir due sole. L’una per il timor ch’ho conceputo dal rigoroso supercilio de certi farisei, che cossì mi stimarebono profano per usurpar in mio naturale e fisico discorso titoli sacri e sopranaturali, come essi, sceleratissimi e ministri d’ogni ribaldaria, si usurpano più altamente, che dir si possa, gli titoli de sacri, de santi, de divini oratori, de figli de Dio, de sacerdoti, de regi… L’altra per la grande dissimilitudine che si vede fra il volto di questa opra e quella, quantunque medesimo misterio e sustanza d’anima sia compreso sotto l’ombra dell’una e l’altra: stante che là nessuno dubita che il primo instituto del sapiente fusse più tosto di figurar cose divine che di presentar altro: perché ivi le figure sono aperta- e manifestamente figure, ed il senso metaforico è conosciuto di sorte che non può esser negato per metaforico… ma in questo poema non si scorge volto, che cossì al vivo ti spinga a cercar latente ed occolto sentimento; atteso che per l’ordinario modo di parlare e de similitudini più accomodate a gli sensi communi, che ordinariamente fanno gli accorti amanti, e soglion mettere in versi e rime gli usati poeti… Onde facilmente ognuno potrebbe esser persuaso che la fondamentale e prima intenzion mia sia stata addirizzata da ordinario amore, che m’abbia dettati concetti tali; il quale appresso, per forza de sdegno, s’abbia improntate l’ali e dovenuto eroico…”
“Non voglio dar adito ai miei avversari di tacciarmi ancora di blasfemia…” sembra dire il Nolano, “…e sarò quanto più esplicito possibile, così da non essere frainteso.”
È evidente che Bruno non intende più dispiacere i suoi benefattori ma… poteva mai esimersi dallo stigmatizzare la stupida saccenteria dei suoi superciliosi avversari, comunque veri farisei della cultura dominante, non condivisa da lui e comunque pervertita da quei dottori, sceleratissimi ministri di Dio e della Cultura?!?
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