Il ricordo di quel incartamento, pertanto, non era stato del tutto rimosso con quell’ultimo trasferimento. Quattro anni prima, infatti, in Svizzera, la vita di un giovane emigrante italiano cominciò ad intrecciarsi con la memoria dello sventurato filosofo di Nola e, successivamente, con l’ingombrante presenza dell’incartamento del suo processo.
L’emigrante in questione era un irrequieto militante socialista di venti anni che aveva dovuto lasciare la natìa Romagna dove, specialmente per motivi politici, aveva trovato molte difficoltà a lavorare come insegnante elementare, la professione a cui ambiva; il suo nome era Benito Mussolini.
Il giovane Mussolini era giunto a Losanna già nel 1902 dove aveva trovato lavoro come muratore. Iscritto al sindacato di quella categoria, anche grazie alla sua cultura certamente non mediocre, ben presto, acquisì un notevole ascendente tra i suoi compagni che lo elessero Segretario. La sua forte personalità e la volontà ferrea lo portarono a rivolgere le sue attenzioni verso attività più vicine alla sua formazione culturale: il giornalismo, ovviamente politico e socialista.
La frequentazione dei tanti circoli socialisti, ritrovo di tanti fuorusciti politici italiani ma anche di riformisti svizzeri, gli portarono notorietà e protezioni negli ambienti più progressisti della società elvetica. A fargli da mentore provvedette Giacinto Menotti Serrati, il fondatore del Partito Socialista italiano in Svizzera.
Il 26 marzo 1904 a Losanna, in contraddittorio con il pastore evangelico Alfredo Taglialatela, Mussolini tenne una conferenza sul rapporto tra l’uomo e Dio in cui il giovane socialista dimostrò tutto il suo anticlericalismo, superiore persino al proclamato ateismo. In effetti, ai più, sembrò che l’ateismo di Mussolini fosse solo un mezzo per poter esprimere con la massima veemenza il suo profondo anticlericalismo. Presente in sala, c’era uno dei massimi esponenti della loggia massonica Liberté, della quale faceva parte, anche, Giacinto Menotti Serrati. Contattato da costui, Serrati si consultò con la sua amica Angelica Balabanoff, una colta ucraina, militante del partito socialista, durante uno dei frequenti incontri del direttivo del sindacato.
“Benito è un irruento, Menotti” esordì la giovane che era affascinata più dalla fiera mascolinità di Mussolini che dalla sua cultura, comunque inferiore a quella della bella pasionaria; “…ma è anche una persona di onesti principi; non ti so dire molto sulle sue convinzioni religiose ma se mi lasci qualche settimana potrò valutare meglio la sua predisposizione ad un percorso di vita nella fratellanza.”
“Benito ha impressionato parecchio un confratello molto influente, Angelica;” precisò Serrati, “… il suo intervento sulla divinità, a detta di quello, ricordava molto i temi di un filosofo italiano del XVI secolo, condannato al rogo dalla Chiesa.”
“Il fratello si riferiva, certamente, a Giordano Bruno di cui c’è anche una statua, a Roma in Campo de’ fiori, eretta proprio dai confratelli massoni italiani. Mi fa piacere che Benito esprima convincimenti simili a quelli del filosofo nolano, che ho anche studiato quando sono stata a Bruxelles. Gliene parlerò se vuoi e… ti farò sapere.”
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