All’inizio del 1586 Giordano Bruno entra in contatto con un attempato matematico e girovago italiano, di sedici anni più vecchio di lui, Fabrizio Mordente, fratello di Gaspare, un antico commilitone di Giovanni Bruno, padre del filosofo, salernitano di nascita. Costui, che nel 1586 aveva già viaggiato tanto e tanto osservato, già nel 1567, a Venezia, aveva pubblicato un foglio in cui descriveva una sua invenzione, un particolare tipo di compasso, da lui chiamato compasso proporzionale a otto punte che permetteva una misurazione piuttosto corretta della circonferenza, dell’area del cerchio e delle frazioni d’angolo. Giordano Bruno, al quale è da presumere che il Guisa, o un suo cortigiano, l’abbia presentato ne apprezzò le caratteristiche che gli permettevano di confutare l’ipotesi aristotelica dell’incommensurabilità degli infinitesimi, confermando così l’esistenza del minimo, alla base della sua teoria atomistica. Il Mordente non conosceva il latino pertanto aveva difficoltà a far accettare, negli ambienti accademici, il suo scritto e Bruno provvide a presentare l’invenzione pubblicando, quell’anno stesso, “i Dialogi duo de Fabricii Mordentis salernitani prope divina adinventione ad perfectam cosmimetria praxim”, elogiando il Mordente e la sua creatura ma, in quegli scritti rimarcava, anche, come lo stesso salernitano non fosse consapevole delle implicazioni filosofiche che il compasso proponeva. Piccato da queste critiche, il Mordente se ne lagnò con il suo protettore francese, Enrico di Guisa, che volle imporre al Nolano di ritirare le copie dei suoi libri e pubblicare le sue scuse al matematico italiano.
Ancora una volta, però, lo spirito indomito e irriducibile di Bruno ebbe il sopravvento e meno di un mese dopo, mercoledì 5 marzo 1586, pubblicò un’altra coppia di dialoghi che, stavolta, esplicitamente attaccavano Fabrizio Mordente, il Dialogi Idiota triumphans e il De somni interpretatione, che fece rilegare in un unico volume assieme ai Dialoghi duo…, incurante che ciò potesse danneggiare il suo rapporto con il Duca di Guisa, e forse con lo stesso Duca di Montpensier.
Dal suo ritorno in Francia, in meno di sei mesi, il filosofo nolano si era alienato la protezione del Re e si era inimicato il suo potente avversario, Enrico di Guisa. La cosa più saggia sarebbe stata lasciare subito la Francia ma… per far ciò Giordano Bruno non doveva essere Giordano Bruno. E decise di uscire dalla scena con un coupe de theâtre: verso la fine di maggio uno dei suoi discepoli più fidati, Jean Hennequin, pubblicò il Centum et viginti articuli de natura et mundo adversus peripateticos accompagnato da una lettera di presentazione del Dottor Jordanus Brunus, Nolanus.
Certamente tale pubblicazione, fatta senza l’autorizzazione reale e, ovviamente, senza il placet del Duca di Guisa, fece molto rumore ma la carica di lecteur royal che Enrico III non gli aveva revocato poneva il Nolano ancora al riparo.
È quindi probabile che fu proprio per questo motivo che fu organizzata una disputa nel collegio di Cambrai, la sede dei lecteurs roiaux, dove si sarebbero confrontate le due anime, quella aristotelica e quella bruniana.
Mercoledì 28 maggio, in mattinata, presso il Collegio di Cambrai, iniziò la “disputa” sul “Centum et viginti articuli de natura et mundo adversus peripateticos”. Gli sfidanti erano, Jean Hennequin, l’autore del libro –o meglio colui il cui nome campeggiava sul frontespizio dell’opera, giacché nessuno dubitava che essa fosse stata scritta dal Nolano in persona – e un giovane avvocato parigino, Raoul Callier, un brillante giurista che aveva abbandonato la professione (e collaborare con monsignor Jacques Davy Du Perron, Consigliere spirituale di Sua Maestà e suo biografo) per dedicarsi alla poesia e alla teologia, piuttosto che alle norme giuridiche.
Il primo incontro, che si tenne quel mattino, trascorse senza incidenti particolari. Qualche mormorio si sarà pur levato nella sala ma senza ulteriori effetti. Il giorno successivo sarebbe toccato all’avvocato Callier rispondere alle tesi bruniane. Le argomentazioni del Callier furono esposte senza che fu fatto nessun accenno alle teorie del Nolano. L’intera arringa di Callier verté sulle offese che l’opera arrecava alla morale religiosa cattolica e alle Sacre Scritture, non riconoscendole veritiere.
Chiamato direttamente in causa, Jean Hennequin, cominciò con il balbettare qualche timida scusa cercando lo sguardo del suo maestro affinché lo soccorresse.
Ma Bruno non era lì presente; egli si trovava nella stanza affianco da dove stava ascoltando le invettive di Raoul Callier, certamente schiumando di rabbia, non potendo intervenire, com’era nel regolamento delle dispute a Cambrai, dove solo i disputandi potevano confrontarsi.
D’un tratto il giovane assistente del Du Perron, però, lo chiamò direttamente in causa, appellandolo Jordanus Brute e invocandone la presenza con un: “Dove sei Brute, fili mi?”
A quel richiamo, l’intero uditorio, allievi in testa cominciarono ad inveire contro il Nolano, e cercarono di passare a vie di fatto.
Alcuni studenti si catapultarono nella stanza dove Bruno si era ritirato, cercando di assalirlo. Bruno fece appena in tempo a lanciarsi nel giardino adiacente e scappare.
Da lì a qualche giorno, Giordano Bruno lasciò per la seconda volta, e stavolta definitivamente, Parigi e la Francia.
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