L’ermetismo, dicevamo, riprende la tradizione vegetale primigenia e associa le stesse idee arcaiche a quei simboli.
L’albero, perciò, è presente nella Fontana di Bernardo Trevisano; al centro della quale compare il drago uroboros, icona del Tutto e rappresentazione di Mercurio, ispiratore dell’Opera ermetica ma, anche, simbolo dell’acqua divina, della Vita, della Donna dei filosofi (Sophia) e intermediario tra umano e divino nella resurrezione dai morti. Il drago, però, è anche simbolo della forza dissolvente: esso uccide ed annichilisce ciò che tocca.
Infine, è opportuno sottolineare che sia dall’albero del Sole che dall’albero della Luna, come frutti, vengono prodotte corone.
Ma di questo mistero se ne parlerà poi.
Qual è, dunque, il messaggio che l’alchimista riceve dall’albero?
Ovviamente, come il lettore attento ha già capito, è un messaggio ambivalente.
Nell’albero è l’origine della vita (e la sua conservazione in sæcula sæculorum) e della Sapienza ma, anche del pericolo e della morte. È sotto l’albero che si è più esposti al fulmine ma è l’albero ad offrire i frutti più succosi.
A partire dalla tentazione subita da Adamo e da Eva di mangiare quei frutti che li avrebbero resi uguali a Dio alla necessità di rubare i pomi d’oro dal giardino delle Esperidi, l’albero indica un bene assoluto ma anche un pericolo costante.
Anche la cultura orientale ci mostra questa dualità: il Buddha riceve la scienza soprannaturale sotto l’Albero, ad onta degli sforzi di Mara, che pure era riuscito a strappare la folgore al dio Indra. Indra stesso, a capo dei Deva, aveva sottratto l’amrta agli Asura, una schiatta di esseri talvolta divini, tal altra titanici, che possedevano il dono dell’immortalità. Nella mitologia norrena, Odino sacrifica se stesso presso un Albero; Eracle e Mithra, ambedue, dopo essersi fatti una veste con le foglie dell’Albero ed averne mangiato i frutti riescono ad assoggettare il Sole (la forza vitale); e nell’antico mito latino, il Re dei boschi, a Nemi, sposo di una Dea (Albero = donna), doveva continuamente vegliare affinché il suo potere e la sua dignità non gli fossero sottratte da chi l’avesse sorpreso e, quindi, ucciso. E, nella tradizione indù, la realizzazione spirituale si consegue, ancora, con il taglio e l’abbattimento dell’Albero: l’Albero di Brahman con l’arma possente della sapienza. Non è fortunata la sorte di Giasone, che aveva solcato i mari su una nave (Argo) fatta del legno della Quercia di Dodona; e Gilgamesch il caldeo, colto il grande frutto cristallino dalla foresta con alberi simili a quelli degli dei si vede la porta sbarrata dalle guardiane della stessa. Il dio assiro Zu, volendo appropriarsi della dignità suprema, si impadronì delle tavole del destino ma, raggiunto da Baal, fu tramutato in uccello ed esiliato in vetta ad una montagna.
La mitologia, quindi, ci ammonisce a rapportarci alla forza dell’albero con rispetto e timore ma, al tempo stesso, con audacia e prepotenza. La donna/sapienza, forza primordiale, deve essere conquistata con audacia (anche con violenza, come ci ricorda l’episodio del ratto delle Sabine) ma l’esito finale resterà incerto poiché a chiunque sarà data la possibilità di sottrarre al Re (l’uomo che ha conquistato la donna/sapienza elevandosi, così, al rango reale) il suo potere e la sua dignità, utilizzando le stesse armi.
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