La prima notazione da sottoporre ai miei dodici lettori concerne la natura di bestia selvatica di questa creatura che era la più astuta tra quelle.
La cultura ebraica associa il termine selvatico all’insania, alla crudeltà, alla malvagità ed all’empietà; caratteristiche morali piuttosto che fisiche o sociologiche come avviene nelle culture occidentali. L’astuzia, inoltre, viene concepita più come indice di sapienza e sagacia che di furbizia e malizia.
Il serpente, dunque, è un soggetto pericoloso ma dotato di enorme sapienza e convive con l’uomo nel giardino di eden; almeno fin quando non tradisce Dio e l’uomo. È solo da questo momento che Dio lo obbliga a strisciare (Poiché tu hai fatto questo… sul tuo ventre camminerai).
Strisciare?!? Beh, non è certo questo il verbo delle Sacre Scritture utilizzato nella traduzione CEI; esso, invece, è il verbo ‘camminare’: perché? Non striscia forse il serpente? Il serpente forse ha piedi? Prima che tradisse Dio e l’uomo stava, forse, eretto? Insomma: chi, o cosa, è il serpente che ha sedotto e pervertito l’uomo in Eden?
La prima risposta, di natura ontologia, ci porta alla figura del diavolo, di Lucifero, degli angeli caduti.
Al di là della correttezza di quest’identificazione, non possiamo non chiederci del perché non sia stato definito con uno di quei nomi o, se veramente fosse un angelo e non invece una creatura differente, magari un altro uomo?
Al riguardo, ci viene in soccorso proprio il testo ebraico del Genesi in cui il serpente è definito arum, che individua sia un soggetto astuto che nudo, e la coppia Adamo/Eva arumim, nudi, appunto; peraltro a seguito del suo tradimento il serpente diviene arur, maledetto. A noi, di un’altra cultura e di altro idioma, riesce difficile apprezzare quello che può sembrare un ‘gioco’ di assonanze senza ulteriori finalità; in effetti, invece, tali risonanze non sono, né possono essere, accidentali e per capirle appieno è necessario, anche, intendersi sul significato di un altro termine ‘centrale’ della Sacra Bibbia, Elohim, che troppo frequentemente, e superficialmente, viene indicato come uno dei nomi di Dio, dimenticandosi che nella cultura e nella religione ebraica tale nome è vietato da pronunciare e scrivere. La stessa prima frase del Sacro Libro viene tradotta in modo improprio; Bereshit bara’ ‘Elohim ‘et hashamaim ‘et ha’arez… (Gen 1,1) infatti significa, letteralmente… e perché no?: “Nel principio creò (divise) l’Elohim (emanazione divina: il Demiurgo?), il cielo, la terra.” Si nota subito l’assenza del soggetto agente, né può essere altrimenti: agli Ebrei è vietato pronunciare (o scrivere) il nome di Dio; la seconda considerazione investe il termine Elohim che la stessa traduzione CEI ripropone, alternativamente, con Dio, Angeli ed altre forme di emanazioni divine ma non si capisce perché altrettanto avrebbe dovuto fare lo scrivano divino per il quale ogni parola, persino ogni segno, lettera o numero assumono significato alternativo rispetto a qualsiasi altro.
Annotazione a parte e non per questo meno significativa investe la traduzione di bara’. In ebraico non v’è differenza tra il verbo creare e dividere: che la visione ermetica dell’Uno, Universo creato (o separato?) sia da tenere in maggior considerazione?!?
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