Ma torniamo all’etimologia di questo nome.
HEVA, anticamente HEUA, Het+Vau+Hé è, di fatto, il nome che l’universale ADAM (l’umanità maschile e femminile) dà al frutto del connubio, dell’unione di A-ISCH, (il Principio Maschile Intellettuale, l’ego/io personalizzato) con la sua volontà: A-ISCHA; questa prole è Heva che nasce da una costola, intesa anche come costa, lato, proveniente da una parte di AD-AM. Nell’unico uomo, AD è il lato maschile, il principio intellettuale, l’informazione ed AM è l’immagine riflessa di MA, la radice del principio femminile (MAmma, MAteria, MAre, MAmmella, MAnifestazione, ecc.); è da questo lato o costola che si evidenzia, che nasce il lato fisico energetico matriciale di Adam: Heva, l’Azione Energetica Creante che si manifesta nel seno dell’UniVerso e dell’umanità; essa, quindi, nasce dall’unione dell’Intelletto con la Volontà, generando l’azione, la forza concreta che nasce dalla MATERializz-Azione del principio maschile e femminile matriciale. Heva (Eva) è anche l’Azione Volitiva dell’Intelletto, generata dall’Ego/IO personale; ed è la Madre ctonia che genera ogni cosa ‘sotto il cielo’. Ma esaminiamo da un altro “lato” questo nome simbolico EVA: HEVA è la costola, il lato fisico di Adam, quello Femminile che è ricettivo; l’altra costola, il lato Spirituale di ADAM, è il lato pensante, quello maschile; e il pensiero che si accoppia con l’energia psico-materializzata è l’unione dei due lati nell’uno; Heva, pertanto, in quanto simbolo, rappresenta l’Energia Pensante, Intelligente, la Sostanza/Materia Informata ed Intelligente, quindi manifesta Psiche. È indicativo, anche, sottolineare come la parola fenicio-ebraica: Zachar (maschio), deriva da una radice antica che indica ciò che è evidente, esteriore, attivo mentre la parola Nekebah (femmina) deriva da una radice che indica ciò che è nascosto, interiore, passivo.
La mitologia ebraica, però, ci riporta l’esistenza di un’altra donna, precedente ad Eva, Lilith.
L’esistenza di questa donna/demone è attestata anche dalle Sacre Scritture seppur con pochi riferimenti, spesso vaghi, ambigui e sfuggenti. In effetti, l’origine di questo mito può farsi risalire, verosimilmente, alla cultura assiro-babilonese.
È lo spirito del vento chiamato Lilitu; e già per questa sua caratterizzazione è identificabile come genio del male. Viene associata alle tempeste, alle morti infantili (in particolar modo dei maschi), agli uccelli notturni succhiasangue.
Il tentativo, tipico di una crescente cultura femminista, ha portato alla sua identificazione, anche, con la Dea Madre; ma questa è un’evidente forzatura, come si dimostrerà poi.
L’ebraico Lilith, come l’accadico Lilitu, la denunzia come demone della notte; ma essa viene associata anche ad Ishtar (o Astarte) la Dea mesopotamica dell’Amore e della Guerra. Un mito narra che Inanna (la versione sumera di Ishtar) trovò l’albero huluppu sulle sponde dell’Eufrate, sradicato dall’erosione dell’acqua; e lo prese per piantarlo nel suo giardino, per poi utilizzarne la legna per fare il proprio trono ed il proprio letto. Ma dopo dieci anni, quando l’albero fu cresciuto, non poté più essere utilizzato per tale fine. Allora il serpente fece il suo nido tra le radici dell’albero e l’uccello Anzu mise i suoi piccoli tra i suoi rami e Lilith costruì la sua dimora nel tronco di huluppu. Inanna, la giovane dea che amava sorridere, a questo punto pianse a dirotto. Chiamò il fratello Utu in aiuto ma questi le si negò; così si rivolse a Gilgamesh, eroe nascente, che dotato di una forza prodigiosa colpì il serpente tra le radici, l’uccello Anzu fuggì quindi con i suoi piccoli verso le montagne e così Lilith, verso luoghi selvatici.
Non sarà sfuggito, ai miei dodici lettori come, anche qui, si ripresentano le figure dell’albero e del serpente che giace tra le sue radici in un continuum spazio/tempo che si perpetra tra culture diversissime tra loro e, forse, mai entrate in contatto tra loro.
Ma torniamo alla Lilith ebraica.
Essa trova origine in più di un mito, ma tutti rifacentesi a demoni, femminili, la cui sola presenza significava distruzione e la cui immagine veniva utilizzata come simbolo apotropaico, per incutere terrore e a protezione delle città e degli edifici. La sua prerogativa di irresistibilità del fascino femminile proveniva certamente da Ishtar (la sumera Inanna) conosciuta agli ebrei come Astarte, Dea siriana (altrove Astariel o Astaroth), per la quale si praticava la cosiddetta prostituzione sacra. Così come la cananea Asheráh, venerata in un primo tempo come Dea dagli stessi ebrei. Forse è proprio nel bisogno della religione ebraica di non riconoscere la divinità al femminile che possiamo leggere la necessità di emarginare e velare questo mito ed il bisogno di connotare negativamente la componente di femminilità ribelle di Lilith per la quale, all’immaginario comune di bellezza, fecondità e femminilità fanno da contraltare la sua rappresentazione come simbolo di morte e devastazione.
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