Questa è una specie di tela, ch’ha l’ordimento e tessitura insieme: chi la può capir, la capisca; chi la vuol intendere, l’intenda. È questa la presentazione del Candelaio; bisogna, quindi, essere attenti all’ordito che non è tutto ciò che sembra, esso è anche la trama di questa tela di Penelope, anzi tela di frà Giordano, nè ci si deve lasciar confondere dal fascino della tessitura, perché si rischia di dimenticarsi dell’ordito.
È molto di più che una commedia, il Candelaio, ma mentre chiunque può gustare i suoi quadri, solo alcuni possono comprenderne il messaggio recondito …e chi la può capir, la capisca. Ma Bruno è un generoso, quindi non lesina suggerimenti per decodificare le mappe del tesoro nascosto. E, quindi, suggerisce: “Considerate chi va chi viene, che si fa che si dice, come s’intende come si può intendere: ché certo, contemplando quest’azioni e discorsi umani col senso d’Eraclito o di Democrito, arrete occasion di molto o ridere o piangere.
È nella conoscenza della filosofia, anzi specificatamente negli insegnamenti di Eraclito e Democrito la “chiave” per decifrare il messaggio segreto. È il “messaggio” della Nolana filosofia che del primo fa sua la sintesi dei contrari a cui aggiunge la coincidenza degli opposti; è il pànta rhei (tutto scorre), è l’inascoltato lògos che l’uomo cerca e non riconosce: “Di questo lògos verace gli uomini sempre inconsapevoli restano, sia prima di averlo ascoltato sia una volta che l’abbiano ascoltato. Tutto infatti avviene secondo questo lògos, ma essi somigliano a inesperti, pur sperimentando che le parole e i fatti sono tali quali io appunto li espongo col dividere ciascuna cosa secondo la sua natura e spiegando come stia. Ma agli altri uomini rimane nascosto ciò che fanno da desti così come dimenticano ciò che fanno dormendo.” [frammento 1 del Perì physeos (ossia Sulla Natura delle cose)] il “suo” lògos è Ordine universale (Kòsmos) fuoco e “anima” e “vita” (psyché); è l’armonia segreta dei contrari e la loro coincidenza. È il messaggio della Nolana filosofia, inoltre, che del secondo raccoglie il principio dell’Ente e del Non Ente, che il filosofo di Abdera aveva ripreso dalla tradizione eleatica del suo maestro Leucippo, dell’Uno, ente pieno, indivisibile, inalterabile, senza qualità sensibili, né generato né corruttibile, ma anche “uno immobile”e infinito di numero, pluralità di enti innumerevoli, che differiscono tra loro solo per la forma, l’ordine e la posizione, e sono in perenne movimento spontaneo, movimento reso possibile dal Non Ente (tò kenòn, il vuoto); e ancora, della percezione umana che si esprime nella conoscenza degli éidòla (le ombre, i simulacri) miniature dell’Uno che si imprimono sulla pupilla, corpi che non sono altro che atomi che si urtano e ricevono forma dal nòus, l’intelletto, a cui è permessa la conoscenza “autentica”, a differenza di quella “oscura” concessa ai cinque sensi.
Ma come si dipana questa matassa, cosa si può ammirare in esso, e quali sono i temi che ne guidano l’intreccio; leggiamo cosa ci suggerisce Bruno: “Eccovi avanti gli occhii ociosi principii, debili orditure, vani pensieri, frivole speranze, scoppiamenti di petto, scoverture di corde, falsi presupposti, alienazion di mente, poetici furori, offuscamento di sensi, turbazion di fantasia, smarrito peregrinaggio d’intelletto, fede sfrenate, cure insensate, studi incerti, somenze intempestive e gloriosi frutti di pazzia.” Sembrerebbe quasi il caso di buttar tutto nel cesso, ma… il Nolano ha ammonito all’inizio lo spettatore ed il lettore: chi la può capir, la capisca; chi la vuol intendere, l’intenda.
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