[Ecco come ho immaginato un possibile incontro tra due nolani al ritorno delle navi dalla battaglia di Lepanto nel 1571]
La flotta crociata fece il suo ritorno a Napoli a metà novembre. Saputa la notizia, frà Giordano Bruno volle andare al porto dove sarebbero sbarcati i reduci dell’epica impresa, e il priore, padre Ambrogio da Lapigio, non trovò niente da eccepire.
Frà Giordano, a prima mattina, si diresse verso il porto grande, al largo del quale sarebbero attraccate le navi in arrivo dalla Grecia. Lì giunto, uno spettacolo mozzafiato si mostrò ai suoi occhi: sotto un cielo bigio carico di nuvole minacciose il mare, grosso e schiumeggiante, era gremito di imbarcazioni di ogni tipo; alle galee e galeazze che sapeva avrebbe visto si erano aggiunte altri tipi di natanti che, evidentemente, erano imbarcazioni ottomane: feluche, sciabecchi e galee catturate durante la battaglia che, come si era saputo, era stata combattuta nelle acque di Lepanto. Tra tutte queste imbarcazioni si stava sviluppando un vero via vai di piccole barche e scialuppe che trasportavano uomini da una nave all’altra; altre barche, invece, trasportavano a terra ogni sorta di suppellettili e persone. Mobili e argani, specchi e forzieri, forse carichi di oro e monili, e feriti e prigionieri turchi e marinai e ufficiali della Lega Santa sbarcavano in continuazione da esse, senza sosta.
Non molto lontano dalla riva, da un piccolo sciabecco, frà Giordano vide staccarsi una scialuppa che dopo pochi minuti si arenò proprio davanti a lui. Dalla scialuppa vide scendere un giovane ufficiale, certamente napoletano, come denunciava la sua divisa, con in testa un grosso copricapo saraceno di quelli usati dai pirati barbareschi, che trascinava, legato e con una lunga fune al collo, un moro alto almeno due metri, mentre altri due militari lo seguivano portando un grosso e pesante forziere.
“Monsignore!” lo apostrofò Bruno, che in lui aveva riconosciuto un nobile nolano, “Monsignor Mastrilli!”
L’ufficiale si volse verso il religioso e chiese: “Chi siete, fratello?”
“Sono Filippo, il figlio di Giovanni Bruno, l’alfiere del Conte di Caserta.” rispose frà Giordano.
“Filippo?!?” ripeté, con meraviglia, il gentiluomo nolano, “Non sapevo che ti eri fatto monaco, monello. Mi ricordo molto bene di te. Una decina d’anni fa ti burlasti di me per la mia spada che, come dicesti, era più grossa di me. Vieni qui… fratello, abbracciami! Sono amico di tuo padre e sono contento di trovare un nolano ad accogliermi al mio ritorno dall’Inferno.”
“Non mi sembra che vi abbiano trattato tanto male, poi, laggiù.” celiò il Nolano indicando il grosso forziere e il moro che teneva al laccio.
“Non me li hanno certo regalati, Belzebù o Mefistofele; sei cresciuto, Filippo, ma resti sempre il solito monello! Ma forse è per questo che ti voglio bene.” Poi, facendosi serio, continuò: “No. Non è stato facile. Credimi, sono proprio stato all’inferno. Immagina quattrocento, forse cinquecento navi che si scontrano in un fazzoletto di mare; non c’era quasi spazio per manovrare; e mille e mille cannoni che vomitano fuoco, e migliaia e migliaia di spade, frecce e colpi d’archibugio che ti sfiorano, ti colpiscono, ti stendono. No! Non è stato facile, Filippo. Per nessuno. In quanto a me, ero imbarcato come primo ufficiale sulla Luna di Napoli al seguito di Don Julio Rubio; al culmine della Battaglia, fui anche fatto prigioniero dai turchi che mi legarono con funi, dopo avermi spogliato, e gettato nella sentina della loro galeotta. Ero furente; non potevo accettare di sentire morire i miei compagni ed io vivo, lì, legato come un salame. Credo che mi avessero scambiato per Don Julio, altrimenti perché non ammazzarmi? Non chiedermi come ho fatto a venirne fuori. Non lo so! So solo dirti che sono riuscito a liberarmi dalle funi, e ne porto ancora i segni!” e fece vedere i suoi polsi solcati da profonde cicatrici, “Al mio fianco stava agonizzando un saraceno dilaniato da una granata, al quale presi la sciabola. Fremente e pieno di sdegno riuscii a tagliare le funi che mi legavano i piedi, e mi gettai nuovamente nella mischia e con un pugno di forti sono riuscito a conquistare il legno nemico, dopo aver ucciso il Rais e i suoi giannizzeri.
Purtroppo, quella galeotta andò a fuoco ed affondò pertanto non avrei avuto alcun bottino se il Capitano del Corno destro, dove combattevo, non avesse notato il mio ardire e non mi avesse segnalato a Don Giovanni d’Austria che mi ha regalato lo sciabecco da cui mi hai visto scendere con il suo carico e questo moraccio di cui non so che farmene. Ma adesso ho tanta sete che berrei una botte intera di birra. Vieni con me! C’è una locanda qui vicino dove la birra è buona e tu mi racconterai un po’ di Nola.”
“Non credo di potervi raccontare molto, Monsignore ma accetto con piacere il vostro invito.” e frà Giordano seguì il nobile conterraneo.
Lascia un commento