L’oggetto del terzo dialogo del De Causa è la materia; ma già sulla sua definizione Bruno propone dei distinguo con l’accezione comune su questo sostantivo. La materia non può essere intesa solo come accidente fisico; in essa il nolano individua oltre l’accidente anche la forma, anzi egli attribuisce alla materia la capacità di dare all’accidente le forme desiderate; in essa convivono queste due “nature” (la forma e l’accidente), e anche due distinte facoltà (l’azione vivificante e la capacità di assorbire l’azione dell’altro, la potestà di fare e la capacità di essere fatto). La materia è la sostanza unica universale; mentre l’elemento che la natura plasma rendendola percettibile ai sensi, e non solo a quelli, tutto ciò che nasce dalla natura stessa, è appunto l’accidente.
La Natura è come il falegname che dà forma al legno; il quale non ne ha prima di essere trattato, e può assumere infinite forme se infinita è l’immaginazione del falegname. Se il falegname è la natura, il legno grezzo è la materia, i manufatti sono l’accidente ma… la materia universale (il legno nel suo esempio) resta UNA. Per spiegare questo concetto lasciamo parlare Bruno: “Non vedete voi che quello che era seme si fa erba, e da quello che era erba si fa spica, da che era spica si fa pane, da pane chilo, da chilo sangue, da questo seme, da questo embrione, da questo uomo, da questo cadavero, da questo terra, da questa pietra o altra cosa, e cossì oltre, per venire a tutte forme naturali?”… “Bisogna dunque che sia una medesma cosa che da sé non è pietra, non terra, non cadavero, non uomo, non embrione, non sangue o altro; ma che, dopo che era sangue, si fa embrione, ricevendo l’essere embrione; dopo che era embrione, riceva l’essere uomo, facendosi omo: come quella formata dalla natur, che è soggetto de la arte, da quel che era arbore, è tavola e riceve esser tavola; da quel che era tavola, riceve l’esser porta ed è porta.”
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