È certo che il De Causa comincia, di fatto, dal secondo dialogo; e qui Bruno sente la necessità, prima di addentrarsi nell’analisi dei grandi misteri dell’universo, di porre un limite: egli non intende confondere la sua investigazione sui segreti della natura con elucubrazioni teologiche.
La sua chiaroveggenza si manifesta, qui, in modo ineludibile; egli sa, assolutamente, che va ad affrontare un argomento pericoloso, e non intende lasciar dubbi sulle motivazioni e sull’obiettivo della sua analisi; egli vede, attraverso gli anni ed i secoli, che i posteri gli attribuiranno pensieri differenti dai suoi; e cerca di porvi riparo. Purtroppo per lui, e per le verità che egli comprese, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Il Nolano ribadisce a più riprese che non intende confondere Dio con il Demiurgo; per lui, come anche nell’ambito di tutta la tradizione ermetica, queste due entità non vanno confuse. Dio è l’inconoscibile, l’uomo non lo può e non lo deve comprendere; diverso è il Demiurgo che ne è immagine pressoché identica. È come quando si vuole guardare il sole: lo si può fare solo in uno specchio, o attraverso vetri opacizzati. Questo concetto è ripetutamente affermato dal Nolano nelle sue opere, ed in questa quasi ossessivamente: …non vorei che v’imaginaste ch’io intenda in Dio essere accidenti, o che possa essere conosciuto per i suoi accidenti. Ed ancora, oltre …perché non veggiamo perfettamente questo universo… assai con minor raggione noi conosciamo il primo principio e causa per il suo effetto. Inoltre attraverso il dire di Dicsono: …esser cosa da profano e turbolento spirto il voler precipitarsi a dimandar raggione e voler definire circa quelle cose che son sopra la sfera della nostra intelligenza. Bene, è la risposta di Teofilo/Bruno a quest’affermazione. E ancora …Lasciando dunque, come voi dite, quella considerazione per quanto è superiore ad ogni senso ed intelletto, consideriamo del principio e causa per quanto, in vestigio, o è la natura istessa o pur riluce ne l’ambito e grembo di quella. È evidente che con quest’ultima affermazione Bruno distingua la natura da Dio; è della natura che discorre in quest’opera, è lei il Demiurgo, il tutto, l’uno, la causa, il principio, ma ben distinta da Dio; in questo Bruno è stato esplicito. L’argomento però, è troppo importante per il filosofo nolano, perché lasci il più piccolo dubbio nel lettore, e quindi precisa ulteriormente il suo pensiero: …Or, quando alla causa effettrice, dico l’efficiente fisico universale essere l’intelletto universale…questo è nomato da’ platonici “fabro del mondo”. Questo fabro dicono, procede dal mondo superiore, il quale è a fatto uno… Ed esplicita in modo definitivo questa distinzione teorizzando una Causa intrinseca ed una estrinseca, essendo quest’ultima, il Dio che crea tutte le cose, ma in modo differente da come la nostra confessione cattolica ce l’ha mostrato: Egli ha creato la sua immagine in sua somiglianza, il Demiurgo, la causa intrinseca di cui discorrerà in quest’opera; infatti: … lo chiamo causa estrinseca, perché, come efficiente, non è parte de li composti e cose prodotte. È causa intrinseca, in quanto che non opra circa la materia e fuor di quella, ma come è stato poco fa detto [dal di dentro, appunto].
Dopo la premessa, le precisazioni. Bruno si rende conto dell’alto rischio di essere frainteso, per cui inizia subito a delineare il suo concetto di Uno coincidente con Causa e Principio. E’ concetto diverso da quello individuato dai suoi più illustri studiosi: è il demiurgo, non Dio; ma qui Bruno si limita a dare la propria definizione di Principio nella scia della Tradizione ermetica di Alberto Magno, Raimondo Lullo, Nicolò Cusano e Cornelio Agrippa, distinguendola implicitamente da quelle legate alla cultura aristotelica imperante nel XVI secolo; e la propria definizione di Causa nella scia dei filosofi quali Platone, i neoplatonici, Orfeo, Empedocle, Plotino; egli la individua nell’anima mundi, nella Forma, vero artefice interno alle cose. Anche relativamente alla Forma Bruno ci tiene a precisare che ci sono due forme, una inerente a Dio della quale non discorre, e l’altra inerente alla Materia: l’una la quale è causa, non già efficiente, ma per la quale l’efficiente effettua; l’altra è il principio, la quale da l’efficiente è suscitata da la materia.
Nella seconda parte del secondo dialogo Bruno si ingegna in un’altra “missione”: trovare i punti di contatto tra le teorie, relative al concetto di “forma”, espresse dai massimi pensatori della Grecia antica. A Bruno non interessava recuperare ipotesi di studio differenti dalle sue ma, come già precedentemente evidenziato, egli si propone un ben più arduo compito, quello cioè di armonizzare tutto il pensiero filosofico in un unicum a dimostrazione che non esiste la dicotomia vero-falso essendo i contrari parte di un’unica verità, sia nelle cose che nel pensiero.
La Forma è l’anima dunque, ma questa non è presente solo nell’uomo, ma in tutte le cose create. Essa è la forma che il Demiurgo attribuisce a tutte le cose.
Con la definizione di materia Bruno fa un altro “scatto di qualità”, essa è l’essenza stessa del creato, mentre le cose accidentali, percepibili ai sensi, non ne sono che l’espressione percettiva, la forma attribuita a “parti” della materia. Che è unica. Peraltro elettroni, protoni, neutroni, neutrini e le altre parti infinitesimali in natura sono presenti tanto nell’uomo quanto negli animali, nelle piante, nelle pietre e in tutto ciò che esiste; quindi perché non pensare come unico l’ente che possiede questi elementi comuni? È questo il concetto di materia in Bruno; e a me, questa tesi sembra semplicemente incontrovertibile.
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