Prima di passare all’analisi del testo bruniano sic et simpliciter, è opportuno sottolineare come, nello stendere i suoi scritti, Bruno faccia ricorso tanto alla mnemotecnica (tal’è la ripetizione di alcuni termini, l’utilizzo delle sue frasi al negativo subito seguite da altre, positive, ad esse corrispondenti, come si è potuto notare in particolare nell’incipit dell’opera) quanto alla kabbalah, vera disciplina sapienziale che il Nolano utilizza a piene mani.
È l’argomento stesso dell’opera che richiede un’attenzione particolare, e una notevole memoria, anche da parte di chi affronta la stesura della stessa, cioè Bruno, per cui si rende necessario porre in essere in modo sistematico quanto da lui esposto nelle opere mnemotecniche francesi, in particolare nel Cantus Circaeus ed il Sigillus sigillorum, per cui egli espone in sequenza logica prima le sue mansioni (contadino, pastore, orticoltore e sarto) poi gli atteggiamenti che deve subire da parte dei suoi avversari (adocchiato/minacciato, osservato/assalito, raggiunto/morso, afferrato/divorato). Si noti che in questa sequenza è presente il doppio momento della preparazione dell’azione e l’azione stessa; quindi individuando i suoi nemici e le loro caratteristiche ai propri occhi (il mondo accademico [inglese]/antipatico, il popolino/odioso, la folla/fastidiosa) ma anche l’oggetto del suo desiderio (una [la verità, la sapienza] /amata). Ancora, Bruno elenca gli effetti della sua opera su se stesso (libero in schiavitù, contento tra i dispiaceri, ricco nel bisogno e vivo nella morte) e quelli della negazione della sua dottrina sugli avversari (schiavi nella libertà, scontenti tra i piaceri, poveri nella ricchezza, e morti in vita) per i quali individua anche ciò che li affligge (la catena nel corpo, l’inferno nello spirito, l’errore nell’anima, il letargo nella mente) e ciò che manca loro (magnanimità a renderli liberi, longanimità ad elevarli moralmente, illuminazione a mostrare la verità, sapienza a renderli vivi). Successivamente, egli evidenzia, con altre negazioni, la sua azione (non ritraggo il piede dinanzi ad un percorso difficile, non mi lascio prendere da smania e abbandono l’opera che intraprendo, né preso da disperazione volto le spalle al nemico, né abbagliato distolgo lo sguardo da Dio) e come è visto dai suoi avversari (sofista [piuttosto che filosofo], arguto piuttosto che attento al vero, ambizioso di creare una nuova filosofia anziché di valorizzare quella accettata, beffeggiatore che per lo splendore della gloria getta altri nella tenebra, animo inquieto che distrugge teorie sane per sostituirle con altre false). Ciascuna di queste sequenze serve a ricordargli gli argomenti dei cinque dialoghi, esse sono le “ombre delle idee” che devono evocare il corretto svolgimento dell’opera, la prima per il primo dialogo, la seconda e la terza per il secondo, la quarta e la quinta per il terzo, la sesta e la settima per il quarto, l’ottava e la nona (nella kabbalah nove è il numero della completezza) per il quinto ed ultimo dialogo. E si ripropone l’importanza che, per Bruno, assume la Kabbalah; i numeri di tali sequenze non sono casuali, né casuale è il numero di elementi di ogni sequenza, quattro, che rappresenta la totalità degli elementi, dell’immanente; invero è presente anche una sequenza di tre elementi (il numero del divino) ma con un quarto elemento che lo supera (l’una che m’innamora), e l’ultima di cinque (il numero dell’uomo completo, quale egli si vede a compimento dell’Opera). La presenza di numeri, evocatori di particolari qualità, è riproposta in modo addirittura più esplicito negli argomenti dei singoli dialoghi:
- Nel primo, il numero venti, cioè due volte dieci, il numero della perfezione che si riflette su se stesso, come immagine della coincidentia oppositorum; a cui Bruno aggiunge altre nove argomentazioni a spiegare la potenza attiva, con un nove numero della completezza, appunto.
- Nel secondo le argomentazioni sono quattro, ciascuna con quattro motivazioni; e quattro, come detto, è il numero della totalità creata, il numero degli elementi (fuoco, aria, acqua, terra).
- Nell’argomento al terzo dialogo vengono esposte dieci “tesi propositive”.
- Nel quarto, dieci proposizioni, già esaminate nel secondo e terzo, con le relative “risposte” (il doppio, l’opposto, come precedentemente sottolineato) alle tesi aristoteliche.
- Nell’argomento al quinto dialogo gli assunti sono dodici (il numero della completezza astrologica, ma dodici non a caso è anche il numero dei mesi dell’anno, e degli apostoli), peraltro è qui che si compie il fine dell’opera; eppure Bruno non manca di inserire un tocco di originalità, infatti egli termina la serie con l’undicesimo assunto che però cita il dodicesimo del dialogo e non elenca l’undicesimo del dialogo, e l’undici corrisponde al numero di Dio in quanto è il numero successivo a quello delle sephirot che simboleggiano la perfezione del Creato; Keter, la decima sephira, è l’immagine del demiurgo; l’undici, quindi, è il numero di Colui del quale non se ne discorre.
Abbiamo già sottolineato la presenza del numero cinque nell’ultima serie tra sequenze che aprono l’epistola, come se il Nolano volesse affermare il raggiungimento della completezza umana alla fine di questo percorso sapienziale; e il numero cinque viene ancora riproposto ed ancora nel quinto dialogo con la comparsa di un quinto interlocutore, Albertino (del quale si discorrerà più ampiamente nella presentazione degli interlocutori, nel secondo capitolo) con il quale si ripropone il superamento del quattro (tanti erano gli interlocutori), forse perché con questa figura voleva evocare la Nola aristotelica che alla fine sarebbe stata disposta ad accettare le tesi dell’esule; e ciò a coronamento delle aspirazioni di Bruno, che non poteva né voleva dimenticare la sua tanto amata Patria, dalla quale bramava essere riaccettato, e per la quale desiderava il raggiungimento della pienezza umana, rappresentata dal numero cinque.
Lascia un commento