Nel seicentesimo anniversario della morte di Giordano Bruno il settimanale Oggi pubblicava un articolo nel quale si affermava che il rogo che aveva messo fine alla vita del filosofo nolano era uno dei pochi atti dell’inquisizione giustificabile, poiché il suo pensiero era realmente destabilizzante per la religione cattolica essendo intriso di materialismo e panteismo, in cui l’esaltazione del “nulla” lo poneva come antesignano di quel nichilismo che avrebbe avuto la massima affermazione a partire dalla rivoluzione francese del 1789. La cultura dominante, del resto, ha sempre dato risalto a tali caratteristiche come proprie del pensiero del domenicano di Nola; l’altra peculiarità che, con troppa prodigalità, gli è stata attribuita è relativa alla sua presunta blasfemia. Troppo comoda questa figura che sembra l’immagine speculare del “pensatore contemporaneo”, in particolar modo nella cultura marxista e post-marxista mentre, per contro, altri la identificano, semplicemente, co la più compassionevole di “martire del libero pensiero”.
Ma quale libero pensiero? Quello che per settanta anni ha soffocato ogni anelito di differenziazione dalla “cultura di partito” imposta in U.R.S.S. e poi in Cina, e a Cuba? E poi, l’inganno; il camuffare Bruno con un habitus mentale che non gli era proprio mentre era proprio quello che faceva comodo a chi sperava in un “nobile” antenato da venerare: il martire del libero pensiero, il blasfemo che sputa in faccia alla Chiesa di Roma, il nichilista e, perché no, il panteista. Quanto sarà stato d’accordo Herbert Marcuse, padre della teoria della morte di Dio!
Sommessamente, penso che questa interpretazione del pensiero e della figura di Giordano Bruno sia totalmente errata; e non perché io creda che Bruno fosse un cattolico ligio ai principi di Santa Romana Chiesa ma perché attraverso i suoi dialoghi italiani ho ricevuto un’immensa quantità di input di segno contrario. Non credo che il Nolano sia stato un buon cattolico, ma da questo a definirlo nichilista, materialista e panteista, ne corre; e senza neppure voler affrontare le ipotesi di Alberto Ingegno che lo vede, addirittura, quale marxista ante litteram: vagheggiamento puro! Bruno blasfemo? No! Il Nolano non era per niente blasfemo: se nel Candelaio utilizza una serie di volgarità in un presunto linguaggio religioso è per dimostrare che blasfema era la società in cui viveva, ed in particolare, quella beghina e clericale napoletana, e italiana più in generale; è per questo motivo che mette in bocca a persone del ceto medio-alto (Manfurio) e del popolino (tutti gli altri) vere e proprie volgarità “religiose”. La vera religione deve avere una sacralità che essi non conoscono, essi travisano il vero messaggio mistico e lo storpiano e lo insozzano; non può essere un caso che a non “bestemmiare” sia l’unico personaggio in cui, peraltro solo minimamente, si identifica: Gioan Bernardo (che dal nome proprio tende più a ricordare suo padre) il quale vive la sua condizione di artista e uomo senza mischiarvi atteggiamenti e linguaggi para-sacrali. Offendendo il modo improprio del linguaggio religioso del suo tempo, Bruno intende accusare coloro che utilizzandolo a sproposito lo infangano e quindi infangano la religione stessa.
Accantonata l’assurda accusa (o speranza?) di blasfemia affrontiamo l’analisi delle altre pseudo teorie bruniane.
Nel De l’infinito universo et Mondi Bruno esprime, in modo inequivocabile, il suo pensiero circa l’importanza dei sensi nella ricerca della verità. L’opera si apre addirittura su questo problema; esso ne è il punto di partenza, le fondamenta su cui è edificato il pensiero del Nolano circa l’immensità infinita dell’universo, sulla molteplicità delle galassie e sull’infinito numero delle specie di accidenti che le “popolano”. È vero solo ciò che possiamo percepire attraverso i sensi? La risposta di Bruno è negativa
…Non è senso che vegga l’infinito, non è senso da cui si richieda questa conchiusione; perché l’infinito non può essere oggetto del senso;
ergo, non è solo attraverso i sensi che si ha la risposta ad ogni cosa che è, nell’Universo; e meno ancora essi potranno essere l’unica risposta alla natura ed alla dimensione di questo ente, la cui conoscenza e comprensione possiamo raggiungere solo con l’ausilio anche di ragione e di intelletto… e della mente. Egli stabilisce il giusto rapporto tra percezione sensoriale e utilizzazione della ragione e dell’intelletto, infatti, non nei sensi c’è la possibilità di comprendere la verità perché …l’oggetto sensibile [è visto]
come in un specchio, nella raggione per modo di argumentazione e discorso, nell’intelletto per modo di principio o di conclusione, nella mente in propria e viva forma.
Ragione, intelletto e mente sono le funzioni che, quindi, ci permetteranno di contemplare l’infinita bontà di Dio. Ma Bruno non utilizza parole intercambiabili, egli odia i sinonimi; afferma ripetutamente che essi possono creare confusione. Le parole evocano immagini, che sono intermediari tra l’umano ed il divino. così come lo sono gli Dei, arcani, pianeti. Le parole, tutte, sono ombre delle idee, le idee di Dio; quindi ragione, intelletto, mente rappresentano, in Bruno, entità assolutamente differenti tra loro che insieme ai sensi rappresentano gli strumenti a disposizione dell’uomo per raggiungere la conoscenza.
Nel De triplici minimo et mensura egli afferma che
…il senso è l’occhio di un carcere tenebroso […]la ragione contempla quasi attraverso una finestra la luce emessa dal Sole e riflessa verso il Sole, come accade nel corpo della Luna. L’intelletto è l’occhio che all’aperto e come da un’alta torre ovunque contempla al di sopra di ogni particolarità […] il fulgore stesso del Sole.
La ragione quindi, a differenza dell’intelletto, è intrappolata nel corpo, e permette solo una visione parziale (o a specchio) della verità; l’intelletto è, quindi, l’occhio dello spirito che si espande sull’infinito; la mente è l’idea di Dio che è in noi; ed i sensi sono gli strumenti che ci permettono di meglio capire (ma non sempre e non tutto) ciò che le altre tre funzioni ci indicano.
Utilizzando lo schema junghiano della coscienza, possiamo renderci conto, inoltre, dell’attualità del pensiero bruniano. La Mente [entità divina] e la ragione corrispondono alle funzioni fondamentali junghiane nell’individuazione della verità; i sensi e l’intelletto alle sue funzioni ausiliarie, per raggiungere lo stesso scopo; (in Jung, le funzioni fondamentali della coscienza dell’uomo sono Pensiero e Sentimento; le funzioni ausiliarie sono sensazione e intuizione) quindi l’uomo, come in uno specchio, si propone come immagine riflessa della Verità.
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