Se io, illustrissimo Cavalliero, contrattasse l’aratro…così comincia l’epistola e la propria presentazione il Nolano, con una serie di proposizioni negative; peraltro non si vede, egli, come ombra profonda? Non sono un agricoltore, né un pastore, né un orticoltore, né un sarto, e se così fosse non darei fastidio ad alcuno; ma il mio impegno è nel campo del Sapere, della Scienza, della Natura, della cura dell’Anima pertanto sono inviso a tanti. È, questa, l’accusa, neppure tanto larvata, che Bruno muove al suo tempo, accusa che andrebbe allargata a tutti i “tempi”: chi ha delle idee è malvisto, chi ha il coraggio di esporle è minacciato, se poi si ha anche il coraggio di difenderle si viene aggrediti, e ne scaturisce una vera e propria guerra, senza quartiere, che terminerà solo con l’annichilimento del soccombente. Ma l’uomo può anche soccombere, e ben lo sa Campo de’ fiori a Roma che ha visto il rogo della verità; non soccomberà mai, però, il pensiero della verità, perché come la fenice, esso rinascerà dalle proprie stesse ceneri. La preoccupazione che accompagnava Bruno nel 1584, però, era più immanente e concreta; egli temeva che la sua opera potesse non vedere la luce della pubblicazione, e da qui la necessità di un sì importante difensore, qual era Michel De Castelnau, ambasciatore francese alla corte di Elisabetta I di Inghilterra.
La mia opera non si esplica con le mani, bensì con il pensiero, afferma Bruno, ma gli effetti sono equivalenti ed altrettanto meritori: il contadino dà forma al campo con l’uso dell’aratro, io traccio le linee nel campo della Natura (le permetto quindi di essere feconda); il pastore procura pascoli ai greggi, io alle anime degli uomini; l’orticultore provvede alla crescita delle piante, io quella dell’ingegno; il sarto modella abiti per l’uomo, io ne modello per l’intelletto: è questo il messaggio del Nolano.
È il concetto di dualità che Bruno ripropone con tenacia. Singolare la forma che il nostro ha usato per descrivere l’arte del sarto; questi è visto come un architetto, ed in effetti la confezione di un abito equivale alla costruzione di un palazzo, abito per la pelle il primo, per l’uomo nella sua totalità il secondo; ma il termine dedalo usato da Bruno richiama anche all’intreccio complesso che un sarto pone in essere quando effettua un rattoppo, vero e proprio labirinto di fili, con il quale si ricompone una parte strappata, ma la si irrobustisce pure; e lui, architetto dell’intelletto, non si propone solo come “formatore” ma anche come “ricompositore” degli “strappi” esistenti tra le varie teorie filosofiche che si sono susseguite nei secoli: da Pitagora ad Eraclito ed Epicuro, da Socrate e Platone allo stesso Aristotele, e senza tralasciare l’opera di ricomposizione delle tesi di Tommaso d’Aquino con quelle di Alberto Magno, Cusano, Plotino e magari anche con quelle di Agrippa di Nettesheim; e ciò costruendo un abito, quello della filosofia nolana, molto più forte grazie al rammendo che egli va a fare; egli, architetto di quella filosofia che dà senso logico alla struttura del Creato.
Chi sono i miei nemici?!? Chiede provocatoriamente il Nolano. Essi sono
…chi adocchiato me minaccia, chi osservato m’assale, chi giunto mi morde, chi compreso mi vora; non è uno, non son pochi, son molti, son quasi tutti.
Perché quest’astio? Perché tacciato di aver l’ardire di insegnare all’università di Oxford, ma non solo (non miglior fortuna Bruno aveva avuto in precedenza a Ginevra, con Antoine de la Faye, e a Parigi, dove neppure il favore di Re Enrico III poté proteggerlo; né le cose migliorarono successivamente, negli stati tedeschi); perché malvisto dal popolino, che non vedeva di buon occhio, ma ciò è ancora vero tutt’oggi, per gli uomini di cultura; perché, aggiunge Bruno, ho a che fare con la moltitudine che non mi contenta (per costoro, è lui stesso a sottolineare che non scrive “per tutti”); infine, a causa di…
una che m’innamora: quella per cui son libero in suggezione, contento in pena, ricco ne la necessitade e vivo ne la morte; quella per cui non invidio a quei che son servi nella libertà, han pena nei piaceri, son poveri ne le ricchezze e morti ne la vita, perché nel corpo han la catena che le stringe, nel spirto l’inferno che le deprime, ne l’alma l’errore che le ammala, ne la mente il letargo che le uccide; non essendo magnanimità che le delibere, non longanimità che le inalze, non splendor che le illustre, non scienza che le avvive.
A chi si riferisce, qui, il Nolano? Ebbene, la risposta sembrerebbe scontata; alla Verità, a Sophia; ma, conoscendo il discorrere sempre umbratile di frà Giordano, non possiamo escludere a priori che egli si riferisse anche a qualcuno di meno spirituale, forse alla sua musa inglese (mai confessata esplicitamente) Elisabetta Tudor, la regina Gloriana.
Infine, prima di passare all’enunciazione dei temi svolti nell’opera, Bruno si impegna in una serie di promesse
…non ritrao, come lasso, il piede da l’arduo camino; né, come desidioso, dismetto le braccia da l’opra che si presenta; né, qual disperato, volgo le spalli al nemico che mi contrasta; né, come abbagliato, diverto gli occhi dal divino oggetto; mentre, per il più, mi sento riputato sofista, più studioso d’apparir sottile che di esser verace; ambizioso, che più studia di suscitar nova e falsa setta che di confirmar l’antica e vera; ucellatore, che va procacciando splendor di gloria con porre avanti le tenebre d’errori; spirto inquieto, che subverte gli edificii de buone discipline e si fa fondator di machine di perversitade.
e rivolge le sue preghiere affinché la sua opera sia protetta
…gli santi numi disperdano da me que’ tutti che ingiustamente m’odiano, cossì mi sia propicio sempre il mio Dio, cossì favorevoli mi sieno tutti governatori del nostro mondo, cossì gli astri mi faccian tale il seme al campo ed il campo al seme ch’appaia al mondo utile e glorioso frutto del mio lavoro con risvegliar il spirto ed aprir il sentimento a quei che son privi di lume: come io certissimamente non fingo e, se erro, non credo veramente errare e, parlando e scrivendo, non disputo per amor de la vittoria per se stessa (perché ogni riputazione e vittoria stimo nemica a Dio, vilissima e senza punto di onore, dove non è la verità), ma per amor della vera sapienza e studio della vera contemplazione m’affatico, mi crucio, mi tormento.
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