Singolare esperienza è la lettura in sequenza delle tre epistole proemiali alle opere cosmologiche –tra i dialoghi italiani- di Bruno, almeno delle loro parti iniziali; è palese il collegamento esistente tra esse. Nel proemio alla Cena delle ceneri, Bruno presenta i canoni dell’opera, in quello del De la Causa, Principio e Uno elogia le qualità del suo mecenate, nel terzo, infine, si presenta egli stesso e giustifica, in qualche modo, la necessità di queste dediche. Sembra quasi che tra esse non vi sia soluzione di continuità, l’una giustifica le altre, e tutte insieme mostrano un unico percorso logico, che giustifica l’unità del pensiero astronomico, ontologico e filosofico contenuto nella trilogia, che può essere, quindi, vista come un unicum. Queste tre opere rappresentano la prova non solo dell’organicità del pensiero bruniano ma anche della contemporaneità di concepimento delle stesse, o quanto meno dell’immensa capacità mnemonica del filosofo di Nola che collega indissolubilmente le varie tematiche proposte come se le avesse concepite in un solo istante, o meglio in un periodo al di fuori del tempo; non c’è passo, pensiero ed ipotesi espressi in ciascuna di queste opere che presenti contraddizione con altri passi, pensieri ed ipotesi espressi nelle altre due; mentre per contro è nella loro unicità e complementarietà che si manifesta appieno l’intera filosofia nolana.
L’analisi, e la stessa lettura, del terzo dialogo cosmologico in italiano di Giordano Bruno richiede un’attenzione supplementare per chi si approccia all’interpretazione della trilogia. Il differente linguaggio con cui il filosofo nolano si è approcciato alle tematiche che aveva già sceverato nei due dialoghi precedenti, ed alcune difformità esplicative del cosmo e dei suoi elementi, hanno richiesto questo surplus di attenzione.
Ho molto riflettuto su tali difformità, che non si erano manifestate nei primi due dialoghi, ma alfine la risposta è venuta come un lampo accecante che rischiara la notte turbata da un temporale, e tutto si è appalesato nella continuità di un pensiero, di un’azione divulgativa, che il filosofo nolano non ha mai tradito. Ogni prodotto naturale (mi permetto di utilizzare “alla Bruno” tale termine, per meglio esprimere il concetto) è “vero”, esiste in un continuum logico eterno, niente è da scartare, neppure le “bestialità di Aristotele” avrebbe detto il Nolano ed in effetti è proprio quanto afferma nel De la Causa, Principio e Uno; quindi senza rinnegare niente di quanto aveva esposto nella Cena delle ceneri prima e nel De la Causa… poi, egli compie un salto di qualità ridefinendo l’infinito, l’universo ed i mondi. Essi non sono più, solo l’Uno del De la Causa…: in questo terzo dialogo ciascuno dei tre assume dignità individuale, che Bruno celebra da par suo.
L’infinito è, qui, celebrato come contenitore oltre lo spazio degli innumerevoli corpi che lo attraversano; l’universo non è più concepito come cosmo, ma in una accezione più ampia; esso è tutto ciò che può essere: l’universale potenza ed atto divino, che va ben al di là dei limiti spaziali o concettuali; i mondi (e benedetto sia Aristotele da cui Bruno mutua questo termine) rappresentano le infinite galassie, non più gli astri, che vi sono nell’universale creatura divina. Le tematiche precipuamente cosmologiche, non indissolubilmente legate alla ricerca ontologica più propriamente detta, a prima vista sembrano molto lontane da una chiara comprensione ma, allorquando si entra in sintonia con il pensiero complessivo bruniano, si disvelano nella semplicità ineluttabile caratteristica peculiare della Verità. In buona sostanza, la lettura e la meditazione di quest’opera ci pongono al cospetto di una verità che a prima vista sembra inconsistente; vale a dire che non si può prescindere da una più specifica analisi del cosmo affinché l’epistemologia bruniana possa esprimersi al massimo livello, nella sua completezza. Inoltre lo sviluppo della trama, nel disegno del filosofo di Nola, poteva trovare piena definizione solo nello smantellamento della cultura antagonista (quella aristotelica); solo così le sue tesi potevano avere la possibilità di essere accettate eppure, l’onestà intellettuale di Bruno non è venuta meno neanche dinanzi ad un obiettivo tanto importante. Aristotele andava “ferocemente” contestato, ma la necessità di compendiare tutta la sapienza umana, dalla scoperta del fuoco fino al pensiero più insipiente che sia venuto alla mente di essere umano, vero obiettivo della filosofia nolana, esigeva di recuperare quanto di corretto e valido faceva parte dell’eredità del filosofo di Stagira; ed ecco che il metodo di analisi di Bruno è ancora quello aristotelico, i suoi percorsi mentali per giungere alla com-prensione della Sofia sono gli stessi; la logica quale metodo di analisi non viene abbandonata. È retaggio delle grandi menti, delle grandi anime, il riconoscere il valore dei propri avversari e celebrarlo; e Bruno lo ha fatto, anche in questa che è l’opera più violentemente anti-aristotelica tra le sue.
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