Qua Giordano parla per volgare… È con questa frase che Bruno presenta la sua opera al suo mecenate inglese Sir Sidney. Tutta la produzione letteraria bruniana è in latino, la lingua dei colti ai quali sono rivolte le sue opere; tutte tranne i dialoghi londinesi e la commedia Il candelaio. Ho già espresso il mio parere su questa scelta fatta dal filosofo nolano, ma qui egli dà una differente giustificazione per tale scelta; non sottolinea motivazioni personali (peraltro non è nel suo stile) ma evidenzia lo stretto legame tra il proprio idioma e le immagini che vengono evocate. Circa questo dialogo egli vi attribuisce, e forse a tutti e tre i dialoghi morali londinesi, una collocazione ben precisa all’interno della sua vasta produzione: collocazione intermedia tra le opere mnemotecniche parigine e quelle cosmologiche e filosofiche londinesi. Ma andiamo per gradi. Scrivere in latino permetteva sì a Bruno di rivolgersi a quel mondo erudito a cui erano indirizzate le sue opere le quali potevano, così, essere lette in tutto il mondo (nell’Europa del cinquecento la lingua universale era, appunto, il latino, così come ora è l’inglese) ma limitava l’estro del “pensatore” che si trovava ingabbiato in una lingua che mal gli consentiva di collegare parole ed immagini come, invece, gli avrebbe concesso la sua lingua madre; inoltre il latino (e anche il tedesco) con le sue declinazioni non consente un “immediato” legame tra la parola e l’immagine, e ciò limita fortemente lo sviluppo del pensiero bruniano; e Bruno lega questi due concetti affermando “Qua Giordano parla per volgare, nomina liberamente [liberamente, appunto] dona il proprio nome a chi la natura dona il proprio essere…chiama il pane, pane; il vino, vino; il capo, capo; il piede, piede…dice il mangiare, mangiare;il dormire, dormire; il bere, bere;…E il risultato di questa corretta corrispondenza tra parole ed immagini e sostanza si estrinseca nella corretta visione degli accadimenti, infatti …ha gli miracoli per miracoli, le prodezze e meraviglie per prodezze e meraviglie, la verità per verità…; quindi non sarà più possibile confondere i miracoli con i prodigi o con la verità: i miracoli saranno riconosciuti tali, e per ciò che sono saranno riconosciuti i prodigi e la verità.
Oggi presente al Sidneo gli numerati ed ordinati semi della sua moral filosofia…e qui diventa possibile comprendere perché, come dirà subito dopo, egli concepisce i dialoghi morali intermedi tra le opere mnemotecniche e quelle filosofico-cosmologiche: dopo aver espresso le modalità che permettono al sapiente di apprendere e conoscere la Natura e la Sophia, utilizza tale tecnica prima in campo morale numerando ed ordinando i semi della sua filosofia, per poi completare l’opera affrontando, con la stessa tecnica, la filosofia speculativa e la cosmologia. E ciò spiega ulteriormente perché le tre opere morali londinesi sono presentate come stampate in Parigi; è un modo per anteporle ai dialoghi cosmologici che, forse in concreto, furono concepiti prima di quelli morali; ma che nella logica, numerata ed ordinata, di Bruno dovevano chiudere il percorso del sapere.
Riferendomi allo stampatore inglese John Charlewood, altrove ho affermato che Bruno sapeva essere magnanimo ma nel contempo non era disposto a dimenticare i torti e le offese subite; credo fermamente che furono questi sentimenti, contrastanti eppur compresenti in lui, che gli fecero utilizzare, per descrivere l’azione stolta ed inefficace dei suoi detrattori, il verbo crivellar che richiama in modo inequivocabile il nome di Lord Brooke, quel Fulke Greville che prima lo accolse, poi lo maltrattò, permettendo che fosse pesantemente offeso in casa sua nella celebre “cena delle ceneri”. Bruno era sempre ben disposto, specialmente nei confronti di chi poteva aiutarlo, ma non dimenticava; pertanto quando descrive lo storpiamento delle sue teorie da parte dei “pedanti” oxoniensi lo definisce sciocco crivellar de nostre paroli, e tra crivellare e Greville c’è un’assonanza fonetica quanto meno sospetta, e il termine sciocco che accompagna questo verbo aumenta il dubbio sulla casualità dell’uso di tale verbo.
Bruno inizia l’opera utilizzando , già nella epistola esplicatoria, i suoi schemi di studio, il cuore stesso della filosofia nolana che tende ad unificare, in forme alchemiche, platonismo, pitagorismo, naturalismo, cristianesimo; la funzione ternaria Padre, Spirito, Figlio si ripropone subito in forma alchemica dove l’Uno con il Due produce il Terzo lo troviamo subito e riproposto in successione ascendente dall’Uomo che guarda il Sole, e discendente nei tre modi con cui Philip Sidney è conosciuto dal Nolano e dai suoi contemporanei. Significativo anche l’uso sempre ordinato dei fattori della terna: il primo ad individuare il soggetto, il secondo le sue caratteristiche peculiari e il terzo la sua azione.
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