La decima immagine proposta [nel quinto dialogo della Prima parte] è quella degli arnesi del dio Vulcano, che vogliono sottolineare, denuncia Tansillo, l’arroganza di quel dio che all’interno della sua fucina, nel monte Etna, si sente superiore allo stesso Giove altitonante
Qua mi rimagno scabroso Vulcano,
Qua più superbo gigante si smuove,
Che contra il ciel s’infiamm’e stizza in vano,
recita all’interno del sonetto annesso allo scudo.
Qui, lascerei parlare, ancora una volta, il Nolano limitandomi alla trasposizione in italiano corrente del passo.
“In essa si mostrano le pene e i disagi dell’amore, specialmente di quello carnale, rappresentata dalla fucina di Vulcano, il [divin] fabbro che forgia le folgori di Giove con le quali [questo] affligge le anime tormentate. Perché l’amore sregolato ha in sé il seme della propria sofferenza, dal momento che Dio[1] ci è vicino, con noi, dentro noi. In noi c’è, in un certo qual modo, quella Sacra Mente ed Intelligenza che elargisce il suo affetto che ha come contrappasso quello spirito vendicativo che si manifesta come rimorso della nostra coscienza, che come l’implacabile martello mortifica lo spirito intemperante. Quella[2]osserva le nostre azioni ed i nostri sentimenti, e come è trattata da noi così ci tratta. In tutti gli amanti, dico, c’è questo fabbro divino, Vulcano, perché come non esiste uomo che non abbia Dio in sé, non esiste amante che non abbia in sé questo nume. In ognuno, certamente, è presente la divinità, ma quale Dio[3] sia presente in ciascuno di noi non è altrettanto facile sapere; e a poterlo esaminare e distinguere sono certo che vi possa riuscire solo l’amore, perché è lui che spinge i remi, gonfia le vele e dà sprone al nostro corpo affinché sia pervaso da buoni o cattivi sentimenti.
Buoni o cattivi sentimenti relativamente alle azioni “morali” ed alla ammirazione estatica, perché tutti gli amanti, normalmente, avvertono questo problema; poiché per ogni cosa c’è il contrario, e non può esistere il bene, sia come concetto che come sentimento, che non sia congiunto od opposto al male, e come non esiste verità che non sia unita e congiunta con il falso, così non esiste amore senza timore, invasività[4], gelosia, rancore ed altre passioni che scaturiscono dai sentimenti contrastanti, gli uni che turbano e gli altri che appagano. Per cui, intendendo l’anima preservare la bellezza naturale, provvede a purificarsi, risanarsi, modificarsi, e lo fa utilizzando il fuoco, perché essendo come oro mescolato alla terra, e non separato, intende liberarsi con il massimo impegno delle impurità, cosa che effettua[5] quando l’intelletto, vero artefice di Giove, vi pone mano, agendo nel nome delle intellettive potenze.”
Poi specifica (mi consentano, i miei dodici lettori, di continuare con la traduzione del testo in italiano corrente)
“Lo spirito, sofferente di questo furore è svagato da profondi pensieri, assillato dal bisogno di attenzioni, infiammato da desiderio bollente, raffreddato da continue opportunità. Per cui, essendo l’anima indecisa, per forza di cose, è meno diligente ed attiva nella cura del corpo essendo impegnata in quella dei sentimenti. Di conseguenza, il corpo è macilento, mal nutrito, estenuato, esangue, pieno di linfa malinconica che non possono essere strumenti di un’anima equilibrata o di uno spirito sereno e splendente ma indirizzano verso la follia, la stoltezza ed il furor brutale; e comunque ad aver poca cura di sé e disprezzo per se stessi, rappresentato da Platone con l’assenza di calzari ai piedi. L’amore, va sommesso e vola [basso] come strisciando sulla terra quando è legato a sentimenti volgari, vola [invece] alto quando è ispirato da alte imprese. Per concludere su questo tema, qualunque sia [il tipo] di amore, è sempre travagliato e tormentato, per cui non può non essere materiale adatto alla fucina di Vulcano, perché l’anima essendo di natura divina, che non ha corrispondenza in natura pur essendo signora della materia, modellata in corpo umano, è turbata dai bisogni che attengono al corpo umano che non può essere soddisfatto [appieno] da essa, e nonostante sia costantemente rivolta verso l’amato bene, accade spesso che altri sentimenti le si agitino e fluttuino dentro [come] soffio della speranza, e timori, dubbi, zelanteria, curiosità, rimorsi, ostinazione, pentimento e altri [sentimenti] malvagi rappresentati dai mantici, dai carboni, dalle incudini, dai martelli, tenaglie ed altri strumenti che possiamo trovare nella bottega di quel sordido e lercio consorte di Venere.[6]”
[1] Qui inteso come regola, equilibrio e armonia.
[2] La Sacra Mente, la divina Intelligenza.
[3] Bruno si riferisce inequivocabilmente alla manifestazione di Dio nell’uomo come in ogni entità dell’universo.
[4] Mi permetto questo neologismo per meglio rendere il concetto di zelanteria.
[5] L’operazione qui descritta è sì l’azione del cercatore d’oro, ma anche dell’alchimista, che prima di compiere l’Opera deve “separare” i vari elementi ed applicare la magica formula alchemica del solve e coagula.
[6] E nello scudo, quindi, è implicitamente ricordato il legame tra il sentimento dell’amore, impersonato dalla dea Venere e la viscerale furiosa passione rappresentata dal dio Vulcano che, non casualmente, nel mito sono presentati come moglie e marito.
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