De l’Inghilterra o vaghe Ninfe e belle,
Non voi ha nostro spirto in schifo, e sdegna,
Né per mettervi giù suo stil s’ingegna,
Se non convien che femine v’appelle.
Né computar, né eccettuar da quelle
Son certo che voi dive mi convegna,
Se l’influsso commun in voi non regna,
E siete in terra quel ch’in ciel le stelle.
De voi, o Dame, la beltà sovrana
Nostro rigor né morder può, né vuole,
Che non fa mira a specie soprumana.
Lungi arsenico tal quindi s’invole,
Dove si scorge l’unica Diana,
Qual’è tra voi quel che tra gli astri il sole.
L’ingegno, le parole
E ‘l mio (qualunque sia) vergar di carte
Faranvi ossequios’il studio e l’arte.
L’Opera è preceduta da questo sonetto di scuse che il Nolano rivolge alle più virtuose e leggiadre dame.
Chi ha imparato a conoscere i percorsi mentali (e lo svolgimento dell’Opera) di Giordano Bruno capisce che nulla delle cose che egli fa, e dice, sono casuali; e se decide di anteporre all’intera opera questo sonetto è evidente che esso ha una particolare importanza e si pone quasi come un biglietto da visita dell’opera intera.
L’opera, dunque, tratta di donne, e dei sentimenti ch’esse suscitano, ma in modo del tutto differente da quello che il filosofo definisce l’influsso commun, che ricalca ancora le tematiche del petrarchismo, più vivo che mai nel XVI secolo. La donna di Bruno è indubitabilmente quella del Candelaio, con i suoi sentimenti e comportamenti veraci e naturali, spontanei o sofisticati ma sempre genuini. È l’altra metà della mela, complemento dell’uomo, che a sua volta ne è completamento, per il compimento dell’opus nell’Ars Magna.
E Bruno chiede scusa di rivolgersi ad esse in questa veste e non come ninfe e stelle, pur facendo eccezione per l’unica Diana, vero astro tra donne comuni. Il riferimento è alla regina Elisabetta I, colei che, al contrario, non consente all’arsenico di svolgere la sua opera alchemica: nessuna ascesi è consentita al cospetto di questa Diana, ma a tutte, sovrana compresa, l’ingegno, le parole e ‘l mio (qualumque sia) vergar di carte renderanno ossequio con lo studio e l’arte.
È chiaro che si rende indispensabile qualche piccola annotazione sul simbolo e sul significato dell’Arsenico in Alchimia nonché sull’ultimo verso del sonetto.
L’assioma di Maria Prophetissa, la mitica sorella di Mosè, centrale nella cultura alchemica, recita: L’Uno diventa Due, i Due diventano Tre e, per mezzo del Terzo, il Quarto compie l’Unità. Così i Due non formano più che Uno. E, nel simbolo dell’Arsenico possiamo vedere verificato tale assioma: il simbolo dell’acqua ˅ (femminile) altrimenti detto vaso è penetrato, dal di sotto (ascesi), dal simbolo del fuoco ˄ (maschile) altrimenti detto lama, formando un terzo, unico simbolo, racchiuso nel cerchio (metafora dell’Unità): il Quarto, appunto.
E l’Arsenico, infatti, combinato con il Solfo (o zolfo) che è principio maschile, favorisce l’ascesi filosofica, quindi l’eroico furore.
Faranv’ossequios’il studio e l’arte.
Il Nolano riconosce due vie differenti per raggiungere la Conoscenza: lo Studio e l’Arte. Invero egli dichiarerà di preferire il primo percorso, fatto di applicazione costante, impegno e conoscenza di ogni forma terrena di sapienza per raggiungere l’agognata meta ma è ben consapevole che essa è raggiungibile anche mediante l’Arte, l’Ars magna ovvio, l’Alchimia, che si compie mediante l’Amore, quello trascendente e furioso che conduce alla Conoscenza.
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