Nei primi giorni di gennaio, alla fine di uno degli incontri dei cortigiani con Enrico, frà Giordano fu pregato di intrattenersi ancora per qualche momento.
Dopo essersi congedato dai suoi amici per andare a presiedere la riunione dell’Alto Consiglio, Enrico raggiunse Bruno nella sala dove l’aveva fatto aspettare e gli disse: “Venite con me amico mio. È giunto il momento di presentarvi a mia madre, la grande Caterina de’ Medici. Tra poco dovremo presenziare l’Alto Consiglio ma, dietro mia esplicita richiesta, vi dedicherà qualche minuto per conoscervi.” e lo condusse lungo un lungo e buio corridoio in un’altra ala del palazzo. Bussò ad una porticina, seminascosta da un arazzo e, ricevuto l’assenso ad entrare, fece ala al Nolano che si ritrovò in un altro mondo.
Gli ambienti piuttosto sobri delle altre stanze del Louvre lasciavano il posto a stanze piene di opere d’arte, tappeti di fine fattura ed arazzi meravigliosi, e a mobili di pregiatissimo legno. “Madre, intendo presentarvi frà Giordano Bruno da Nola, il sapiente italiano di cui vi parlavo l’altro giorno. Ve lo lascio qualche minuto, poi raggiungetemi nella Sala dell’Alto Consiglio, io vi anticipo. Arrivederci a domani, frà Giordano.” disse quindi Enrico rivolto al Nolano, e lasciò la stanza.
“Accomodatevi giovanotto. Mio figlio mi ha parlato molto di voi…” disse la Regina madre, poi, accertatasi che nessuno stesse ascoltando i loro discorsi, cambiando totalmente tono, riprese “…mi sa che devo proprio congratularmi con voi, frate Bruno. Avete letteralmente sedotto i miei due figli, capisco Enrico, ma come ci siete riuscito con Francesco? E poi praticamente nello stesso istante? Il Duca d’Anjou di fatto odia il Re, ed Enrico lo sa. Avrei proprio voluto essere presente per ammirare la vostra strategia di seduzione con Francesco senza offendere la sensibilità del Re; è stato certamente un capolavoro di diplomazia!”
“Ma state attento” aggiunse “… perché vi siete anche fatto dei nemici, e potenti. Non sottovalutateli, né sopravvalutate la forza di carattere di mio figlio Enrico; di fronte a certi ricatti non vi difenderà, egli è molto… troppo legato a De Saint-Dizier, che è anche feudatario di Enrico di Guisa, sappiatelo e comportatevi di conseguenza. E cercate di ricucire almeno una parvenza di rapporto con il Duca Enrico, non deve sospettare mai dei nostri accordi. State attento anche a quell’oca della Contessa d’Eu, pur non avendo comunque alcun ascendente sul Duca ne è pur sempre la moglie, ed una donna gelosa e ferita è più pericolosa di una belva…”
“Voilà Madame la Serpente…” pensò in francese il Nolano, “… non le è sfuggito il mio rapporto con Jeanne, e forse neppure quello con Louiselle. Mi chiedo chi altri è al corrente di questi fatti. Dovrò stare ben attento a chiunque. A Corte non potrò contare sull’amicizia di nessuno, solo sulla mia intelligenza. Attento, dunque, Nolano.” poi, ad alta voce, aggiunse: “Vostra Grazia è troppo buona a mettermi sul chi va là nei confronti del Marchese di Saint-Dizier, e dei suoi amici. Ho visto il suo sguardo possessivo nei confronti del Re, e so di averlo per nemico, ma siate serena, non ho mai sottovalutato un avversario, ma non indietreggio di fronte a nessuno.”
“Non fate il guascone, frà Giordano, a Corte restate umile. È un consiglio di una donna che potrebbe essere vostra madre.”
Un brivido corse nella schiena del giovane, – madonna Fraulissa paragonata a Caterina de’ Medici, assurdo! Mai poteva immaginare quanto fosse differente dalla sua adorata madre quella donna, eppure, Filippo si rese subito conto che quel consiglio gli era stato dato anche con il cuore, oltre ad essere assolutamente opportuno.
Gli eventi di quei giorni, la popolarità, i successi e i fallimenti con la contessa d’Eu e con i vari De Saint-Dizier, diedero a Bruno lo spunto per meglio tratteggiare la struttura dell’opera che aveva appena cominciato: il Cantus Circaeus.
L’idea iniziale di una dea, Circe, infallibile lasciò il posto a quella di una donna che, seppur figlia del Sole e di natura divina, doveva provare e riprovare prima di ottenere adeguati risultati con i suoi incantesimi; e che aveva la necessità di trasmettere il suo sapere, e forse anche il suo potere, ad una discepola. Le immagini degli animali in cui gli uomini si identificavano, che Bruno aveva utilizzato per la rappresentazione del Ballet comique de la Reine, qui assumeranno il significato opposto: era la figura umana ad essere l’involucro usato dagli animali per manifestarsi tra gli uomini, quelli veri. Questi sono in pochi sulla Terra; tutti gli uomini che si possono vedere, in effetti, sono solo animali che ne hanno preso le sembianze per mescolarsi con loro. Il maiale e la scrofa, ma anche il lupo e la volpe non fanno altro che mimetizzarsi tra gli uomini per esserne accettati e tentare di pervertirli; ma la Dea troverà, alla fine, l’incantesimo giusto per esorcizzare quelle metamorfosi e svelare le identità nascoste dietro la forma umana. Era, in sostanza, il mito omerico di Circe, ribaltato. La Dea, in quest’opera, non trasformerà gli uomini in bestie, bensì svelerà la vera natura delle bestie che si mimetizzano dietro l’immagine umana; né questa interpretazione del mito potrà inficiare la figura di Odisseo che, al contrario, ne esce rafforzata in quanto “vero uomo” che resiste all’incantesimo di Circe restando se stesso. Odisseo non è l’animale che si mimetizza con vesti d’uomo, non si è nascosto dietro un falso involucro, poiché egli è un “vero uomo”, ed è per questo che resta immune agli incantesimi della maga. Egli è “l’uomo” che, al contrario, si traveste da cavallo a Troia, da montone nell’antro di Polifemo, da albero della nave per ascoltare le sirene e, solo in presenza del suo obiettivo ed alla fine del suo viaggio, come ultima trasformazione, sarà un altro uomo, ma vecchio e cencioso mendicante, come Kronos, il tempo, che lento ma inesorabile arriva per punire chi ha attentato all’uomo nella sua natura più nobile, incarnato dalla fedeltà della moglie, Penelope.
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