Ciao a tutti,
credo che il miglior modo di iniziare questo percorso, che spero interessi chi voglia di interfacciarsi con me sulle problematiche che proporrò in questo contenitore, sia presentare la figura centrale, seppur non l’unica, delle mie argomentazioni.
L’ispiratore principale di questo percorso di studio e analisi è il filosofo nolano Giordano Bruno del quale sono rimasto affascinato non solo per le sue idee del tutto rivoluzionarie, e rivoluzionarie perché pur guardando al futuro recuperano ogni forma di sapere pregresso, trascendendo quindi il tempo, ma anche per la sua personalità fatta di mille sfaccettature che lo pone nella limitata schiera dei personaggi che hanno indirizzato e caratterizzato le trasformazioni del pensiero e della storia del genere umano.
Quale migliore strumento di conoscenza posso proporvi se non quella che il filosofo fece di se stesso nell’unica opera teatrale che compose?!? Quindi, ecco a voi…
L’autoritratto di Giordano Bruno.
L’autore, si voi lo conosceste, dirreste ch’ave una fisionomia smarrita: par che sempre sii in contemplazione delle pene dell’inferno, par sii stato alla pressa come le barrette: un che ride sol per far comme fan gli altri: per il più, lo vedrete fastidito, restio e bizzarro, non si contenta di nulla, ritroso come un vecchio d’ottant’anni, fantastico com’un cane ch’ha ricevute mille spellicciate, pasciuto di cipolla.
Quando pubblica il Candelaio Bruno ha trentaquattro anni, e la fisionomia che ha acquisito è, quindi, quella definitiva, e comunque è quella che ci è pervenuta attraverso alcuni ritratti; ma è, soprattutto, l’immagine “spirituale “ che egli qui delinea che resta indelebile nei nostri occhi. Immagine che è compiutamente tratteggiata se consideriamo anche gli elementi presenti nel frontespizio che egli preparò per quest’opera. Il sottotitolo così recita: “Comedia del Bruno Nolano, achademico di nulla achademia, detto il fastidio” ed ancora: In tristizia hilaris,in hilaritate tristis.
Dunque, il Bruno che raggiunge Parigi sul finire dell’estate del 1581 è una persona dallo sguardo smarrito, sembra assente a ciò che lo circonda, ha l’aria impaurita come se guardasse fisso il fuoco dell’inferno, magro tanto da sembrare di essere passato sotto una pressa, la sua risata è sempre forzata ed esclusivamente di compiacenza, normalmente è come infastidito, non si capisce da che cosa, ritroso e bizzoso al tempo stesso, eternamente scontento, con lo spirito di un vecchio, sembra rimuginare come fanno i cani bastonati, e dà l’idea di cibarsi di solo pane e cipolla.
Che questa fosse stata l’immagine che riceveva chi lo guardasse è possibile, ma l’approccio con la vita del giovane monaco Nolano è di ben altra natura, ed il modo con cui si fa largo, già in quei primi mesi, nell’ambiente universitario parigino e poi alla corte di Enrico III, e persino nel rapporto diretto con il sovrano ci dicono che, di fatto, Giordano Bruno da Nola era ben altra persona. Certamente magro, forse persino smunto, però è difficile credere ad un atteggiamento timoroso in una persona molto orgogliosa e dotata di una cultura non solo vastissima ma anche notevolmente approfondita; ed è ben difficile immaginare uno sguardo smarrito in chi, durante un processo a suo carico (quello presso l’inquisizione veneziana), e con gravissime accuse, affermerà di sé: “Me messi a legger una lettion straordinaria per farmi conoscer et far saggio di me”, e che raccoglie senza indugi la sfida che gli lancia Enrico III a dimostrare le sue capacità mnemoniche. Immaginarlo timido ed impacciato è, poi, addirittura assurdo; il suo spirito sarcastico, mordace e disincantato non poteva permetterlo, né può sembrare, in nessun modo, un ottantenne chi dedica la sua vita alla conoscenza: è questo il “vero” segreto dell’eterna giovinezza del Dottor Faust. Ed anche del Nolano.
In conclusione il fastidio, il restio e bizzarro,il ritroso ed il fantastico com’un cane, colui che è triste tra le persone allegre ed allegro tra i tristi non è altro che una maschera che sfruttando l’ambiguità con l’intima essenza del personaggio esalta le sue doti di grande affabulatore, e di scrupoloso investigatore dell’animo altrui. Egli, infine, si svela per quello che veramente è, attraverso le parole del Bidello che introduce la Commedia:
Prima ch’i’ parle, bisogna ch’i’ m’iscuse. Io credo che, si non tutti, la maggior parte al meno mi dirranno: – Cancaro vi mangie il naso! dove mai vedeste comedia uscir col bidello? – Ed io vi rispondo: – Il mal’an che Dio vi dia! prima che fussero comedie, dove mai furono viste comedie? e dove mai fuste visti, prima che voi fuste? E pare a voi ch’un suggetto, come questo che vi si fa presente questa sera, non deve venir fuori e comparire con qualche privileggiata particularità? Un eteroclito babbuino, un natural coglione, un moral menchione, una bestia tropologica, un asino anagogico come questo, vel farrò degno d’un connestable, si non mel fate degno d’un bidello. Volete ch’io vi dica chi è lui? voletelo sapere? desiderate ch’io vel faccia intendere? Costui è – vel dirrò piano: – il Candelaio. Volete ch’io vel dimostri? desiderate vederlo? Eccolo: fate piazza; date luoco; retiratevi dalle bande, si non volete che quelle corna vi faccian male, che fan fuggir le genti oltre gli monti.
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