La Cabala del Cavallo Pegaseo viene dedicata da Bruno ad un immaginario Don Sapatino, vescovo di un’inesistente diocesi di Casamarciano, successore di San Quintino, santo il cui culto è ristretto in un’area geografica molto limitata, quella della Piccardia in Francia, ben lontana da Nola.
Perché questa scelta così inusuale per il filosofo nolano? È probabile che egli non intendesse dare molta importanza a quest’opera? Non credo, poiché egli esplicitamente sottolinea la volontà di recuperare quel materiale che altrimenti sarebbe andato perduto quando afferma …non avendolo a gittar via disutilmente, e volendo al dispetto del mondo che serva a qualcosa. La risposta a queste domande credo debbano essere cercate attraverso la identificazione del personaggio a cui essa è dedicata. Come il personaggio di Saulino identifica il filosofo stesso avendo il cognome della madre, don Sapatino rappresenta un altro aspetto del Nolano poiché, probabilmente, si riferisce a Sabatino Savolino un chierico suo parente ben poco colto che come massima carica fu cappellano, ma i titoli attribuitogli, assolutamente fasulli ed immaginari, servono per creare una sorta di cortina fumogena attorno a costui; quindi è il caso di cercare assonanze anche nel nome, per decriptare l’ipotetico personaggio: Sapatino potrebbe essere la deformazione di saputino e ridondare l’idea della persona salace ed anche un po’ saccente. San Quintino fu un nobile romano del III secolo che S. Caio Papa mandò nelle Gallie a convertire i popoli ivi residenti, e che lì, ad Amiens in Picardia fu martirizzato, decapitato e il suo corpo fu disperso nel fiume Somme; il culto di questo santo è limitato proprio alla Francia, dove forse Bruno ne ha conosciuto la storia. Casamarciano è un piccolo comune confinante con Nola, di cui nel ‘500 ne era un casale, che si estende fin verso il monte Cicala alle cui falde vi era la casa natale del filosofo. Questo piccolo compendio sulle tre parole chiave porta, fatalmente, ad un unico personaggio possibile: Bruno stesso. Egli è consapevole di essere alquanto “saputello” e saccente; come il Santo martire è partito dall’Italia per diffondere il suo pensiero tra chi ha differente fede; è nativo di Casamarciano (l’attuale paesino nel ‘500 era un casale di Nola a cui, forse, apparteneva l’abitazione natale del filosofo) ed è un religioso, e ben si vede con la mitra di Vescovo. È a se stesso, quindi, che il filosofo dedica quest’opera, sia perché gli pare inadatta ad essere offerta a qualche personalità influente, sia perché è solo per se stesso che essa ha visto la luce; e la dedica viene fatta in modo “velato” e in tono burlesco, anche per nascondere il carattere “magico” di un opera la cui motivazione manifesta è invece solo di natura etico-religiosa e morale.
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