È nel quinto dialogo che Bruno mostra al lettore la sua visione dell’Universo, la sua struttura, la sua essenza. Premessa indispensabile resta il legame tra l’immanente e la volontà divina di manifestarsi nella creazione e nella vita stessa; la giusta sintesi di questo corollario, imprescindibile nel pensiero bruniano, è espresso allorquando egli fa dire a Teofilo: E’ dunque cosa conveniente alla comodità delle cose che sono ed a l’effetto della perfettissima causa, che questo moto sii naturale da principio interno e proprio appulso senza resistenza; e subito dopo …nulla cosa si muove localmente da principio estrinseco senza contatto più vigoroso della resistenza del mobile. Il moto degli astri, quindi, non può essere determinato da leggi matematiche e fisiche che l’uomo può comprendere con il solo uso della ragione; la Perfettissima Causa muove il Tutto con un’armonia che alla mente umana può pervenire, limitatamente, solo ascoltando una sinfonia di Beethoven, di Bach, di Wagner, se eseguite dalla migliore tra le orchestre filarmoniche; e il limite di quelle è nel loro inizio e nella loro fine, laddove, per contro, la “sinfonia divina” è eterna e irripetibile nei singoli andanti, giacché pur ripetute all’infinito c’è sempre un’impertinente nota che non coincide con il passaggio precedente rendendo nuova ed eterna questa musicale armonia.
Altro è giocare con la geometria, altro è verificare con la natura. Non son le linee e gli angoli, che fan scaldar più o meno il fuoco…
L’obiettivo di slegare la Natura dalle leggi fisiche che l’uomo verifica costantemente va anche oltre. Utilizzando le analisi dei difensori delle tesi tolemaiche relative al peso della Terra, Bruno lancia un vero macigno nello stagno della scienza ufficialmente accreditata; dopo aver messo in discussione le funzioni “spazio” e “tempo” arriva il momento di mettere in discussione anche il “peso”, e per fare ciò utilizza due esempi molto significativi: nessun corpo nel suo loco è grave né leggiero…l’acqua nel suo loco non è grave, e non aggrava quelli, che son nel profondo del mare… e immediatamente dopo…le braccia, il capo ed altre membra non son grevi al proprio busto…un uomo, se scende sotto il mare ad una profondità molto superiore ai cento metri non sopporterà la pressione dell’acqua (che non è il suo elemento naturale) e morirà; le profondità degli oceani, per converso sono piene di pesci, che nel loro habitat naturale, non subiscono l’effetto mortale della pressione dell’acqua. Ed ancora; un peso di dieci chili nelle nostre mani sarà sicuramente oneroso, ma per il nostro busto i chili di braccia e testa, non hanno alcun effetto fastidioso. È un principio di relatività, quello di Bruno, che è l’esatto opposto del relativismo marxista e materialista: è la dimostrazione logica della magnificenza de l’unico altissimo.
Tutto ciò premesso, Bruno può esprimere la sua visione dei moti della Terra. Ad un corpo immobile al centro dell’Universo, immagine di suprema superbia, Bruno contrappone un Universo senza centro, in cui ogni astro partecipa del movimento di tutti gli altri e nel movimento determina l’eterna vita del firmamento; visione non solo scevra di qualsiasi prosopopea ma vera immagine della grandezza di Dio; quel Dio di cui Bruno, con infinito rispetto, non ha mai voluto disquisire. Egli riconosce dunque il movimento di rivoluzione, attorno al Sole, il più vicino alla perfezione tra i moti della Terra; il moto di rotazione, meno preciso, dice Bruno, e gli altri due, peraltro non conosciutissimi neppure oggigiorno, che sono il moto di traslazione insieme al sistema solare verso la costellazione di Ercole, e la precessione degli equinozi; i quali ultimi due non sono facilmente verificabili in modo “sensibile”. Questi moti hanno una ben precisa ragion d’essere: …La cagione di cotal moto è la rinovazione e rinascenza di questo corpo; il quale secondo la medesma disposizione, non può essere perpetuo; come le cose che non possono essere perpetue secondo il numero (per parlar secondo il comune) si fanno perpetue secondo la spezie, le sustanze che non possono perpetuarsi sotto il medesmo volto, si vanno tuttavia cangiando di faccia. Perché, essendo la materia e sustanza delle cose incorruttibile, e dovendo quella secondo tutte le parti esser soggetto di tutte forme, a fin che secondo tutte le parti, per quanto è capace, si fia tutto, se non in un medesmo tempo ed istante d’eternità, al meno in diversi tempi, in varii istanti d’eternità successiva e vicissitudinalmente; perché, quantunque tutta la materia sia capace di tutte le forme insieme, non però de tutte quelle insieme può essere capace ogni parte della materia; però a questa massa intiera, della qual consta questo globo, questo astro, non essendo conveniente la morte e la dissoluzione, ed essendo a tutta natura impossibile l’annichilazione, a tempi a tempi, con certo ordine, viene a rinovarsi, alterando, cangiando, le sue parti tutte: il che conviene che sia con certa successione, ognuna prendendo il loco de l’altre tutte; perché altrimente questi corpi, che sono dissolubili, attualmente talvolta si dissolverebbono, come avviene a noi particolari e minori animali.
Moto e dissolvenza, quindi; senza dimenticare che movimento, vita e morte sono complementari.
Nel moto c’è l’essenza della vita e la sua manifestazione, che con il moto tende verso l’annichilazione, la morte; ma questo stato non è consono all’Universo che, manifestazione massima di Dio, è eterno oltre che infinito. La caducità dei corpi permette, però, la nascita di altri corpi, così come la morte del seme permette la nascita delle piante (ovviamente corpi anch’esse); è questo il segreto dell’immortalità del corpo dell’Universo: esso rinasce continuamente nelle sue parti mortali che attraverso la morte, appunto, permette la nascita di altre parti. È qui la differenza con gli “enti accidentali” quali anche noi siamo; noi siamo il seme che dà vita eterna all’Universo; noi siamo mortali e rendiamo, di conseguenza, immortale l’Universo. E tutto ciò è possibile grazie al movimento; quindi, non può esistere “individuo” (semplice o complesso) che non sia partecipe di questo evento: il moto. E ciò vale per la Terra come per il Sole, per tutti gli astri, come per ciascuna, pur minuscola o immensa, parte dell’Universo Uno: l’unico ente immobile, quindi eterno, come mirabilmente Bruno cantò all’inizio del quinto dialogo del De la Causa, Principio e Uno.
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