George Abbot, futuro arcivescovo di Canterbury nel suo: The Reasons Which Doctour Hill Hat Brought, for the Upholding of Papistry, Which is Falselie Termed The Catholike Religion così, nel 1604, descriveva Giordano Bruno: Quando quell’omiciattolo italiano, che si autodefiniva Philoteus Jordanus Brunus Nolanus, magis elaborata Teologia Doctor ecc., con un nome certamente più lungo del suo corpo, visitò nel 1583 la nostra università…e poi …Ritornandovi non molto tempo dopo, quando, con molta più audacia che saggezza… rimboccandosi le maniche come un giocoliere…intraprese il tentativo di far stare in piedi l’opinione di Copernico …mentre era piuttosto la sua testa che girava, e il suo cervello che non stava fermo. Or dunque, questo presunto concentrato di superbia e alterigia, in questo quinto dialogo dà almeno due dimostrazioni di profonda umiltà e indulgenza: in primo luogo riconosce la propria ignoranza: …perché ancora non determino, se la sustanza e materia, che chiamiamo spirituale, si cangia in quello che diciamo corporale e per il contrario, o veramente non. È, questo, un dubbio legittimo per il teorizzatore della coincidenza degli opposti; egli ha la percezione, e forse qualcosa in più, che tale teoria non si attaglia anche al rapporto tra anima e materia; il dubbio invero verrà sciolto (indirettamente) nel De la Causa, Principio e Uno laddove Bruno esplicita la differente, in qualche modo, sostanza di anima e materia che quindi non possono rappresentare l’una l’opposto dell’altra. La seconda dimostrazione di umiltà, anzi addirittura di indulgenza e riconoscenza è manifesta alla fine del dialogo laddove rivolto al pedante Prudenzio: …fate la conclusione ed una epilogazione morale solamente di questo nostro tetralogo; l’uso di questo sostantivo che era stato oggetto di scherno, nel primo dialogo, nei riguardi di Prudenzio rappresenta un riconoscimento alla sentenziosità, che peraltro non poteva non far parte delle sue stesse caratteristiche, giacché tutti gli interlocutori dei dialoghi bruniani rappresentano, in certo qual modo, suoi aspetti caratteriali, ma rappresenta altresì un vero moto di riconoscenza che nasce dalla verace animosità con cui il pedante, lungo tutta l’opera, lo ha comunque difeso dagli attacchi sia dei pedanti inglesi, che di quelli da parte delle varie componenti del popolino anglosassone.
Ed è proprio per bocca di Prudenzio che, in fine di dialogo e di opera, Bruno conclude il suo exursus sui capisaldi della sua filosofia: l’importanza dei simboli.
Del simbolo, come strumento da utilizzare in mnemotecnica, Bruno ne ha ampiamente approfondito gli aspetti nei dialoghi parigini, in particolare nel De umbris idearum, nel Cantus circaeus, e nel Sigillus sigillorum; qui invece inizia un percorso che lo porterà fino alla fine della sua produzione letteraria, vale a dire all’incompleto De vinculis in genere, in cui gli aspetti mnemonici sono propedeutici agli aspetti magici. Il simbolo, per il Bruno mago, serve per evocare il bene e/o scongiurare il male; è questo il motivo per cui Prudenzio invoca, similia cum similibus, immagini fagocitatrici per invitare i pedanti oxoniensi a “fare un solo boccone” dei loro insegnanti, i quali li hanno cresciuti nell’ignoranza e nella maleducazione; e non è certamente casuale che la Cena delle ceneri che si apre con l’immagine di un pasto, si concluda con altre immagini di pasti: è il compimento dell’opera che termina laddove è cominciata, a rappresentare il completamento del percorso. Ma nella filosofia nolana la coincidenza non è mai perfetta, c’è sempre un punto di fuga finale che permette ulteriori sviluppi, quindi il procedere della Storia, della Sapienza, della Natura stessa, in un’eterna spirale che consente, appunto, la vita; ed allora Prudenzio continua nelle sue invocazioni con immagini fluviali ad invitare i barcaioli inglesi a svolgere correttamente il loro mestiere; e immagini guerresche per mitigare le intemperanze della soldataglia inglese. Il simbolo viene quindi usato come talismano, e ciò alla fine di un’opera tutta dedita alla spiegazione della sua teoria cosmologica. Ancora una volta gli opposti coincidono: scienza e magia hanno, in questo sublime pensatore, pari dignità, sono l’una l’opposto dell’altra, ma ambedue sono immagine della stessa realtà; una realtà che per affermarsi dovette prendere, però, il via dalle scintille di un rogo: Campo de’ fiori a Roma, il 17 febbraio 1600.
Molti hanno provato a disperdere le ceneri di quel rogo, tanti si sono resi conto che accenderlo fu un grave sbaglio, giacché la verità non può morire, è eterna; ma quel rogo arde ancora e lancia ancora luminose scintille che rischiarano la lugubre notte dei fanatismi religiosi e del materialismo arido e sterile.
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