L’8 febbraio, presso l’abitazione del Cardinale Ludovico Madruzzo, il notaio Flaminio Adriani lesse al condannato, a cui fu imposto di mettersi in ginocchio, la sua sentenza:
“Oggi martedì, il dì ottavo del mese di febbraio nell’Anno del Signore 1600…
-dopo aver ripercorso tutte le fasi del processo, il notaio concluse: –
…Per il che, essendo stato visto et considerato il processo contra di te formato et le confessioni delli tuoi errori et eresie con pertinacia et ostinazione, benché tu neghi esser tali, et tutte le altre cose da vedersi et considerarsi: proposta prima la tua causa nella congregazione nostra generale, fatta avanti la Santità di Nostro Signore sotto il dì ventesimo di gennaro prossimo passato, et quella votata et risoluta, siamo venuti alla infrascritta sententia.
Invocato dunque il nome di Nostro Signore Gesù Cristo et della sua gloriosissima madre sempre vergine Maria, nella causa et cause predette al presente vertenti in questo santo Offitio tra il reverendo Giulio Monterenzi, dottore di leggi, procuratore fiscale di detto Santo Officio, da parte sua, et te fra Giordano Bruno predetto, reo inquisito, processato, colpevole, impenitente, ostinato et pertinace ritrovato, dall’altra parte: per questa nostra diffinitiva sententia, quale di conseglio et parere de’ reverendi padri maestri di sacra theologia et dottori dell’una e dell’altra legge, nostri consultori, proferimo in questi scritti, dicemo, pronuntiamo, sententiamo et dichiaramo te, fra Giordano Bruno predetto, esser eretico impenitente, pertinace et ostinato, et perciò essere incorso in tutte le censure ecclesiastiche et pene dalli sacri Canoni, leggi et constitutioni, così generali come particolari, a tali heretici confessi, impenitenti, pertinaci et ostinati imposte; et come tale te degradiamo verbalmente et dechiariamo dover essere degradato, sì come ordiniamo et comandiamo che sii attualmente degradato da tutti gli ordini ecclesiastici maggiori et minori nelli quali sei consituito, secondo l’ordine dei sacri Canoni; et dover essere scacciato si come ti scacciamo dal foro nostro ecclesiastico et dalla nostra santa et immaculata Chiesa, della cui misericordia ti sei reso indegno; et dover esser rilasciato alla Corte secolare, si come ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governator di Roma qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemente che vogli mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilazione di membro.
Di più condanniamo, riprobamo et prohibemo tutti gli sopradetti et altri tuoi libri et scritti come heretici et erronei et continenti molte heresie et errori, ordinando che tutti quelli che sin‘hora si sono havuti, et per l’avenire verranno in mano del Santo Offitio siano pubblicamente guasti et abbrugiati nella piazza di san Pietro, avanti le scale, et come tali siano posti nel Indice de’ libri prohibiti, sì come ordiniamo che si facci.”
È a quel punto che Giordano Bruno, come riferì uno dei testimoni esterni alla lettura della condanna, Kaspar Schoppe, si alzò in piedi e… con volto minaccioso, tra il trepido stupore degli astanti, rompendo il silenzio, gridò a’ Cardinali inquisitori: “Forse con maggiore timore pronunciate contro di me la sentenza, di quanto ne provi io nel riceverla.”
Giordano Bruno fu consegnato al Governatore di Roma, per l’esecuzione della condanna che sarebbe dovuta essere eseguita il 12 febbraio, e tradotto nelle carceri di Tor di Nona, ma all’ultimo momento la data del supplizio fu posticipata al giovedì 17. Non si conoscono i motivi di questo differimento.
Resta, nella mente di ogni uomo che crede che i problemi ed i conflitti non si risolvono con la violenza, l’immagine di un uomo non molto alto, certamente piegato nel fisico come poteva essere un cinquantenne sottoposto a otto anni di carcere ed almeno due torture, spogliato di tutto ma non di una odiosa mordacchia, il pezzo di legno che bloccava la bocca e la lingua ad evitare che pronunciasse qualsiasi parola, legato ad un palo infisso su un fascio di legna secca, bruciato ancora vivo.
Una cosa sola non potevano sapere i suoi carnefici: al rogo avevano condannato sì un uomo ma anche una fenice; e, come ogni fenice, il pensiero che volle essere cancellato nel fuoco in quell’empio giorno, 17 febbraio 1600, dal fuoco riprese forza per ritornare orgoglioso alla Vita.
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