Il 4 giugno 1577 Giordano Bruno vide per la prima volta Venezia, e ne restò ammaliato.
Sapeva, come chiunque al mondo del resto, che quella città era stata costruita, più di mille anni prima, sugli isolotti di una vasta laguna, vicino alla foce del Po. Quando, con la barca, giunse alla foce del grande fiume, fu sbarcato in una zona paludosa e insalubre, “Noi ci fermiamo qui, messer De Brunis.” gli disse il barcaiolo, “Io ed i miei aiutanti dobbiamo caricare diverse casse di pesce e risalire quanto prima il fiume. Voi proseguite verso Nord, tra un paio di giorni, al massimo, sarete a Venezia.”
Bruno restò sconcertato dinanzi al panorama che si mostrava attorno a sé. A vista d’occhio non vedeva altro che acquitrini e fango, fango e acquitrini, e cominciò a temere una burla del barcaiolo però, pur titubante, si incamminò nella direzione indicatagli e, già il giorno dopo, all’alba vide, in lontananza luccicare un’immensa massa d’oro. Lo scintillio che gli si parò davanti agli occhi era accecante e non gli permetteva di distinguere alcunché, fin quando non arrivò ad una lega dalla città. Qui, finalmente scorse una grandissima basilica sormontata da una cupola d’oro poi, quasi senza rendersi conto, si ritrovò con l’acqua del mare ai piedi, ma la città era ancora distante… nel bel mezzo del mare. Non si distinguevano spiagge, o alberi che lasciassero pensare ad un isola, anzi a delle isole, poiché altri caseggiati si distinguevano, sempre nel mare, ma non su isole. Era un vero miracolo quello che i suoi occhi ammiravano. Un barcaiolo attirò la sua attenzione e lo condusse, insieme ad una decina di altri viandanti, in una grande piazza, bianca come l’alabastro, con un immenso e solitario campanile che troneggiava sul mare. Bruno non credeva ai propri occhi. Neppure nei sogni più fantasiosi avrebbe creduto di poter vedere cosa più bella: la città era maestosa e civettuola al tempo stesso. I primi abitanti che incontrò erano affabili e disponibili come nella sua Napoli, tanto differenti dai freddi e scostanti torinesi; e questo valeva per tutti, tanto per i maschi che per le femmine. La cortesia, l’affabilità, la buona grazia sembrava dote di ognuno, e ben presto poté verificare che la cultura dei governanti non temeva confronti con quella degli alti prelati di Roma. Le donne erano bellissime e cordiali senza essere sfrontate, -…è il luogo ove ognuno vorrebbe vivere- pensò Giordano, dopo le poche ore trascorse a girovagare tra le piazzette e le calli, come i veneziani chiamavano le stradine della città, divertendosi, quasi come un fanciullo, ad attraversare e riattraversare i piccoli, numerosi, ponti che collegavano costruzioni e strade, evidentemente costruite su isolotti diversi. E continuò, per ore ed ore a esplorare le calli, i palazzi e le chiese della capitale del grande impero commerciale.
Fu anche fortunato, quel primo giorno a Venezia.
Verso sera, stava ancora girovagando senza meta, come ammaliato da quella strana maga, fatta d’acqua e di case, d’oro e di stoffe pregiate, e ancora non si era messo alla ricerca di una locanda dove alloggiare quando, mentre naso all’aria stava guardando l’architettura di un magnifico palazzo, indietreggiando urtò un uomo.
“State attento messere, potreste ritrovarvi in un canale, anziché addosso a me, la prossima volta che camminerete come i gamberi.” disse sorridendo questi, mentre si massaggiava il piede che il Nolano gli aveva calpestato.
Giordano stava quasi per rendergli la pariglia con una delle sue solite risposte pungenti quando vide il sorriso del suo interlocutore, che aveva più motivo di lui di essere risentito e rispose: “Ma in questa città nessuno è mai di malumore? Vi ho pestato un piede e voi celiate come se vi avessi fatto un complimento!?!”
“Oh, non crediate che siamo degli sprovveduti, messere. Non saremmo il popolo più ricco d’Europa se fossimo degli sprovveduti, noi; non credete? Invero… è che avete un fare così nobile che è indubitabile che non l’avete fatto apposta e mortificarvi non avrebbe alcun senso.”
I due cominciarono, così, a dialogare del più e del meno e Bruno chiese un’infinità di notizie sulla città alle quali Marcantonio, tale era il nome del Veneziano, si premurò di rispondere con assoluta cortesia.
Dopo circa un’ora di domande incalzanti e di risposte sempre cortesi, il veneziano disse: “Mi dovete perdonare adesso, messer Giordano, ma siamo arrivati vicino casa mia e dovrei rincasare; non ho nessuno che mi aspetta; ma questo significa, anche, che se non provvedo da solo a me, nessuno lo fa e… ho una certa fame, dopo una giornata di lavoro.”
“Sono un gran maleducato” si mortificò il Nolano, “…siete così affabile e disponibile che non ho pensato che dovevate rientrare a casa e neppure che potevate essere stanco dopo una giornata di lavoro… ma lavorate pure, in questa città da favola?!?” e sorrise timidamente.
Stavano quasi per accomiatarsi quando Bruno chiese: “Un’ultima informazione, messer Marcantonio, per caso non conoscereste qualche locanda a buon prezzo, nei paraggi? Ho trascorso tutta la giornata naso all’aria e non ho pensato dove andare a pernottare… ed è quasi buio.”
“Siete una sagoma, messer Giordano, un tipo veramente originale! Arrivate, straniero, a Venezia e passate l’intera giornata a bighellonare senza preoccuparvi né di mangiare né di procurarvi un tetto per la notte… che tipo! Però mi piacete. Se vi accontentate di dividere la casa con me, vi farò un buon prezzo. Qui a Venezia la più modesta delle locande credo sia fuori dalla vostra portata.” e Marcantonio indicò lo strappo nella manica del vestito di Bruno e il buco all’altezza del ginocchio, che denunciavano il pessimo stato delle finanze del Nolano.
Bruno si guardò, arrossì, poi… scoppiò a ridere: “Con piacere, messere, ma ad un patto; io vi chiamerò Marcantonio e voi mi chiamerete Giordano. E adesso accompagnatemi a casa vostra… ho anch’io molta fame.”
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