Il Candelaio è dedicato alla Signora Morgana B.; ma chi era costei? Lo Spampanato ipotizzò che potesse essere una cugina di Giordano Bruno, Morgana, figlia di tal Sipione Savolino, oppure un’altra fanciulla nolana, andata poi sposa a Gian Tommaso Borzello; queste ipotesi trovano, indirettamente, riscontro nella citazione fatta da Bruno, nella dedica, di due sue opere inedite: Gli pensieri gai e Il tronco d’acqua viva che avrebbe, intorno all’anno 1576 (quindi prima delle sue peregrinazioni per l’Europa), offerte alla stessa donna.
Non è da escludere, peraltro, che la Morgana del Candelaio sia la Giulia degli Eroici furori; per ambedue viene, infatti, professato desiderio e passione; ma vi sono due elementi particolari su cui è il caso di soffermarsi: il nome e il linguaggio con cui il filosofo si rivolge a questa figura.
Dunque, Morgana, cioè la maga, anzi l’ammaliatrice, sorella incestuosa di Artù, che a pieno titolo può rappresentare l’ombra di Atena, la Dea della sapienza, l’altra figura femminile da cui Bruno si lascia condurre lungo quest’Opera. Esse rappresentano, quindi, i due differenti modi di pervenire alla conoscenza: la via della Magia, di Circe, di Morgana, e la via della Sophia, di Minerva e delle nove Muse, sue ancelle. E all’inizio del suo peregrinare e della sua missione di divulgazione della Nolana filosofia, egli si rivolge alla prima, affinché mostri e non mostri, tenga celata agli occhi di pedanti, volgari, e neo peripatetici; crei una nebbia in cui dissimulare a qualsiasi occhio indiscreto la Verità. D’altro canto le peculiarità individuabili per Morgana possono ben essere attribuibili anche a Giulia Savolino: anche la giovane nolana ha incantato i suoi amanti, come Bruno denunzia negli Eroici furori; ella è la cugina del filosofo, e quindi il loro probabile rapporto è al limite dell’incesto, anche lei è fiera e superba come la maga. Un’ulteriore considerazione va fatta sul cognome, di cui riporta la sola iniziale, la “B”. È chiara l’intenzione di tenere, in qualche modo, celata l’identità di costei, non sceglie la “S” di Savolino, ma è da chiedersi perché la “B”? Che sia la “B” di Bruno a sottolineare la stretta relazione con se stesso? In una logica che prescinde dal Tempo significherebbe il riconoscimento del ruolo di Anima, nell’accezione junghiana, affibbiato a questa donna: il suo lato femminile. Altra chiave d’interpretazione potrebbe essere l’utilizzo della “B” alla stregua della Beth [ ב ] ebraica: la lettera con cui inizia la Sacra Scrittura, l’inizio della rivelazione. O ancora come la seconda lettera dell’alfabeto italiano, ad indicare che la Morgana a cui si riferisce non è la prima donna che l’ha ispirato, cioè Giulia Savolino, bensì un’altra, magari in-identificabile, perché solo archetipo della Maga, appunto.
L’altro elemento da meditare concerne il linguaggio con cui il filosofo si rivolge alla sua musa: …non è prencipe o cardinale, re, imperadore o papa che mi levarrà questa candela di mano, in questo sollennissimo offertorio. A voi tocca, a voi si dona; e voi o l’attaccarrete al vostro cabinetto o la ficcarrete al vostro candeliero… Non è certamente un lessico che si adatta ad un amante tenero e affezionato, questo; è, invece, un linguaggio certamente licenzioso e fortemente allusivo più adatto ad un amante furioso sì, ma anche amareggiato e disilluso, che non intende certamente considerare la donna alla stregua della Laura del Petrarca. La donna di Bruno è maliziosa, furba, calcolatrice e carnale, che non lesina di abbandonarsi ai lascivi piaceri della carne, ed allo stesso modo egli la desidera e la tratta; non senza rispetto, ma con il rispetto che ella gli ispira. E sembra persino andare oltre non indugiando solo sull’onda dei ricordi; egli, infatti, preconizza il suo ritorno, quasi una promessa a rinverdire quel rapporto, salutando con l’epiteto non certamente benevolo di Candelaio colui che forse era marito di questa “Morgana” con la frase: “Salutate da mia parte quell’altro Candelaio di carne ed ossa, delle quali è detto che “Regnum Dei non possidebunt”; e ditegli che non goda tanto che costì si dica la mia memoria esser stata strapazzata a forza di piè di porci e calci d’asini: perché a quest’ora a gli asini son mozze l’orecchie, ed i porci qualche decembre me la pagarranno. E che non goda tanto con quel suo detto: “Abiit in regionem longinquam”; perché, si avverrà giamai ch’i cieli mi concedano ch’io effettualmente possi dire: “Surgam et ibo”, cotesto vitello saginato senza dubbio sarrà parte della nostra festa.”
Ma è la chiosa della dedica, passo memorabile ed eterno, a svelare, in modo velato, il pensiero del Nolano, ed anche il suo sincero rispetto per Morgana, accreditata della sua stessa sapienza, a cui nulla bisogna insegnare: “Ricordatevi, Signora, di quel che credo che non bisogna insegnarvi: – Il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla s’annichila; è un solo, che non può mutarsi, un solo è eterno, e può perseverare eternamente uno, simile e medesmo. – Con questa filosofia l’animo mi s’aggrandisse, e me si magnifica l’intelletto. Però, qualunque sii il punto di questa sera ch’aspetto, si la mutazione è vera, io che son ne la notte, aspetto il giorno, e quei che son nel giorno, aspettano la notte: tutto quel ch’è, o è cqua o llà, o vicino o lungi, o adesso o poi, o presto o tardi. Godete, dunque, e, si possete, state sana, ed amate chi v’ama.
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