Lo spaccio dei singoli simboli dei vizi e la sostituzione con le relative virtù, ambedue rappresentati in ciascuna delle costellazioni celesti nel rispetto della coincidentia oppositorum, viene messo in opera a mo’ di processo. Il giudizio si dipana dalla posizione più elevata, quella dell’Orsa minore, fino a quella più bassa, il Cetaceo o Balena, che insiste nella parte più bassa dell’emisfero boreale, l’unico conosciuto nel cinquecento con dovizia di particolari (non va dimenticato che solo cento anni prima Cristoforo Colombo aveva dimostrato, con i suoi viaggi, la sfericità della Terra, e nel secolo successivo non esistevano mappe celesti che mostrassero le costellazioni australi).
Le orse. La prima “bestia” ad essere “spacciata” è, appunto, l’Orsa minore a cui viene attribuito il torto di essere questo “brutto animalaccio” che indica la giusta via con “una coda (che contra la natura de l’orsina specie volse Giunone che gli rimanesse attaccata dietro), quasi come un indice degno di tanto luogo…” e ad essa si sostituisce la Verità. Ma dove verrà esiliata quest’Orsa? “A gli claustri di Bernesi vorei che la fusse impriggionata, disse Giunone. Vada dove si vuole…” replica Giove perché “le unghie de la detrazione non arivano, il livore de l’invidia non avvelena, le tenebre de l’errore non vi profondano”. Perché la clausura bernese? Il pensiero, fatalmente, corre al soggiorno di Bruno in terra svizzera, al suo contatto con il mondo calvinista, al trattamento ricevuto dopo le sue contestazione al professor Antoine De la Faye. Bruno, maltrattato dai calvinisti, vede questa ‘confessione’ in tutta la sua falsità; si favoleggiava della libertà che si poteva godere presso quelle genti, ma vi trovò solo una ottusa chiusura ad ogni cultura ‘alternativa’ alla loro e quindi egli vi vide imperare la falsità; e lì solo poteva essere imprigionata l’Orsa: lì dove imperava la “detrazione, il livore de l’invidia, le tenebre de l’errore”.
L’Orsa maggiore viene ‘spedita’ a far da damigella alla più piccola, così come in cielo fa la ruota attorno all’altra.
Il Drago. Il custode dei pomi d’oro del giardino delle Esperidi troverà la sua collocazione in Irlanda o alle Orcadi, i luoghi dove hanno origine le leggende di Re Artù; quindi Bruno lega l’antico mito greco con la leggenda di Re Artù e del Graal: come l’antico Drago custodiva il tesoro naturale rappresentato dai pomi d’oro, così il Pendragon (il soprannome del padre di Artù, che fu attribuito successivamente a quest’ultimo, che aveva proprio un Dragone quale suo emblema) fu il custode ‘morale’ del tesoro mistico dell’età cavalleresca: il Graal. E alla alterigia del Drago si sostituisce la Prudenza, come ancella più prossima alla Verità.
Cefeo. Al mitico re, compagno di Ercole, che cercava di allargare il più possibile il suo regno per poter soddisfare le brame di potere dei venti figli, il Consiglio fa succedere la Sophia, affinché possa allargare il proprio dominio e meglio servire, essa superba ancella, la Dea Verità.
Artofilace. È la costellazione di Boote che da dietro governa il Grande Carro (l’Orsa Maggiore). Figlio di Callisto, nato dallo stupro da questa subito da parte di Giove, viene allontanato dal cielo per non ricordare le malefatte del padre degli dei e difensore della legge; e al suo posto, infatti, è la Legge che si asside. Figlia della Sophia assisa in cielo come “quell’altra” (la legge naturale) è figlia della sapienza terrena. E, come sottolinea Pallade Athena, “…non è vera, né buona legge quella che non ha per madre la Sofia, e per padre l’intelletto razionale; e però là questa figlia non deve star lungi da la sua madre”. Dunque la funzione della Legge è quella di guida della Sapienza che deve seguire, come figlia, la madre; come Boote l’Orsa.
La Corona Boreale. Il destino di questa costellazione è sospeso sino al momento in cui non si presenti alla Storia colui che sarà degno di porsela sul capo e giudicare correttamente coloro che vengono meno al rispetto della Legge (divina e naturale). È l’occasione, per Bruno, di effettuare una verbosa arringa contro la Riforma, che in nome della Predestinazione, non riconosce l’alto incarico della Legge (divina e Naturale).
Ercole. La sorte del semidio figlio di Giove è particolare. Egli deve rivivere da uomo e da Ercole, un Ercole non forzuto ma altrettanto costante nel combattere le ingiustizie e le falsità perseveranti nella difesa della Verità. Sembra quasi che Bruno si riveda nell’antico semidio, pronto ad affrontare ulteriori dodici fatiche; d’altro canto non favoleggiava, egli, che da bambino avesse afferrato, senza alcuna paura, un serpente che era entrato in casa; immagine questa che riecheggia certamente l’esperienza dell’eroe tebano che ad otto mesi strangolò i due serpenti che Giunone aveva messo vicino alla sua culla per ammazzarlo?
È da riflettere sugli accoppiamenti che Bruno fa tra queste prime costellazioni, che sono quelle più vicine al Nord celeste, al vertice, con le virtù che vi debbono succedere.
Il Seggio più alto spetta alla Verità, che quindi rappresenta il massimo bene per il filosofo Nolano; e come sue più fedeli ancelle egli vede, prima la Prudenza, quella prudenza che non aveva avuto nell’affrontare i pedanti dottori di Oxford e che evidentemente, ora, riconosceva come virtù indispensabile per affermare e difendere la Verità; poi la Sapienza, il vero Amore di padre Bruno; quindi la Legge, quella ‘divina’ e quella ‘naturale’, che è figlia della Sapienza; la Legge per essere giusta, infatti, non può prescindere dalla Sapienza; solo a questo punto di questa ‘scala celeste’ viene posto il Potere ed il Giudizio, quel potere e giudizio che Bruno non attribuisce, ancora, ad alcuno dei regnanti europei (vedremo che questo avverrà alla fine dell’opera); colui che avrà la Corona dovrà essere sottoposto, quindi, a Verità, Prudenza, Sapienza e Legge, e solo in loro nome potrà liberare l’Europa dalle tenebre del Medio Evo; buon ultimo di questa élite di ‘nuovi Dei’ Bruno sembra volersi assidere nello scranno più basso; lui, novello Ercole, che si vede come il difensore e la guida della Verità e della Sapienza.
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