Lo Spaccio de la bestia trionfante si chiude con due ispirati richiami; il primo di fondamentale importanza politica, ed il secondo di interesse morale proposto con un succoso linguaggio culinario.
L’attribuzione della Corona boreale, che già all’inizio dell’Opera Giove aveva deciso di lasciare in cielo fintanto che non avesse individuato un degno destinatario, è attribuita ad Enrico III. Ma perché la Corona ad Enrico III? Perché non ad Elisabetta? O a Rodolfo d’Asburgo? Eppure il Nolano si trovava in Inghilterra, e dedica l’opera a Philip Sidney, cortigiano della Gran Regina. Accertata l’avversione del Nolano per la Spagna, resta da comprendere il perché di questa scelta che potrebbe sembrare offensiva per chi lo aveva accolto con tanta magnanimità e rispetto e lo aveva difeso contro gli attacchi di pedanti e saccenti che non erano certo senza potere in Inghilterra. La Spagna del 1500 era un regno più che cattolico, clericale e fondamentalista; è quello il periodo di massimo potere dell’inquisizione e la Spagna sfruttava la lotta alla Riforma per estendere i suoi domini in modo aggressivo e ostinato sul mondo intero. Ma l’Europa che “vedeva” Bruno era una nazione multireligiosa, tollerante e pacifica. Almeno nominalmente un imperatore esisteva; la corona d’Asburgo aveva titolo a regnare sull’Europa e Rodolfo II era un monarca tollerante ed anche versato negli studi ermetici, per cui poteva essere il terminale dei desideri del frate nolano, ma evidentemente la sua debolezza militare ed il suo defilarsi nella lotta per l’egemonia sul continente lo poneva in posizione subordinata nelle speranze di Bruno; non poteva essere lui a togliere all’odiata progenie di Carlo V il controllo dell’Europa e liberare i popoli dal giogo asfissiante della grettezza morale e della rigidità religiosa che minava alla base quella convivenza che il Nolano vedeva come possibile solo se a capo del Sacro Romano Impero vi fosse stato un principe più tollerante. Ma perché non Elisabetta I Tudor? In Inghilterra convivevano tre diverse fedi religiose e, seppur con diverse tensioni, il popolo era sufficientemente unito e compatto; è probabile che la fede cattolica di Bruno non gli permettesse di concepire come sovrano di tutte le genti d’Europa una persona di fede diversa, ma ciò non giustifica del perché pubblicasse proprio in Inghilterra e dedicasse proprio ad un nobile inglese così vicino alla Regina quest’opera in cui spera che la Corona d’Europa vada ad un monarca di altra nazione. A meno che!?! A meno che la missione di Bruno in Inghilterra non fosse quella di rassicurare la Regina Elisabetta sulla volontà di Enrico III di non interferire negli affari interni di quello stato (vedi l’affaire Maria Stuarda, figlia di Maria di Guisa), e nella volontà di espansione verso il Nuovo Mondo degli inglesi, ottenendo come contropartita campo libero sul suolo europeo, dove Enrico avrebbe potuto più liberamente contrastare lo Spagnolo, indebolito anche dalla lotta per mare contro gli inglesi. Infatti più che una lode, sembra proprio che Bruno sottolinei la volontà del Re francese di non intraprendere campagne espansionistiche, e quindi rassicuri Elisabetta sottolineando che <…questo Re cristianissimo […] ama la pace, conserva quanto si può in tranquillitade e devozione il suo popolo diletto; non gli piaceno gli rumori, strepiti e fragori d’instrumenti marziali che administrano al cieco acquisto d’instabili tirannie e prencipati de la terra; ma tutte le giustizie e santitadi che mostrano il diritto camino al regno eterno. Non sperino gli arditi, tempestosi e turbulenti spiriti di quei che sono a lui suggetti, che, mentre egli vivrà (a cui la tranquillità de l’animo non administra bellico furore), voglia porgerli aggiuto per cui non vanamente vadano a perturbar la pace de l’altrui paesi, con pretesto d’aggionger gli altri scettri ed altre corone; perché Tertia coelo manet. In vano contra sua voglia andaranno le rubelle Franche copie a sollecitar gli fini e lidi altrui; perché non sarà proposta d’instabili consegli, non sarà speranza de volubili fortune, comodità di esterne administrazioni e suffragii che vagliano con specie d’investirlo de manti ed ornarlo di corone, toglierli (altrimente che per forza di necessità) la benedetta cura della tranquillità di spirito, più tosto leberal del proprio che avido de l’altrui. Tentino, dunque, altri sopra il vacante regno Lusitano; sieno altri solleciti sopra il Belgico dominio. Perché vi beccarete la testa e vi lambiccarete il cervello, altri ed altri prencipati? perché suspettarete e temerete voi altri prencipi e regi che non vegna a domar le vostre forze, ed involarvi le proprie corone?>
Viene da pensare che Bruno sia stato inviato a Londra da Enrico III a contrastare le aspirazioni dei Guisa sulla Corona d’Inghilterra, attraverso Maria Stuarda, cioè a controllare le attività in tal senso di Michel De Castelnau, ambasciatore francese che era sicuramente ben visto e, forse, agente dei Guisa e, al tempo stesso, rassicurare Elisabetta sulle intenzioni espansionistiche francesi sul continente. Se così fosse stato si spiegherebbe il mistero del perché un anonimo fraticello fosse così ben visto alla corte d’Inghilterra pur essendo tanto inviso al mondo accademico al quale comunque aveva titolo di appartenere.
Lo spaccio del Pesce australe ( la costellazione del Piscis austrinus), in chiusura di Opera, rappresenta l’invito di Bruno al superamento delle differenze tra le varie confessioni religiose in nome della Pace; quella Pace così pericolosamente minacciata da un’interminabile sequenza di lotte che nella Religione vedevano la loro falsa giustificazione. Il Pesce, icona dei contenuti inconsci, è destinato a restare nel conscio solamente come idea, ombra; il cielo degli Dei è appunto raffigurazione della Ragione nell’Uomo. Esso è destinato ad essere la pietanza prescelta della Cena; come a dire che i contenuti inconsci devono essere metabolizzati dall’uomo affinché non ne danneggino la psiche. Né, Bruno, perde l’occasione per richiamare “per metafora” la preoccupazione che ha ispirato quest’opera: “tale pesce” che deve essere la pietanza della “cena” è opportuno che sia preparato arrostito, o in umido, o in agrodolce, o in qualsiasi altro modo ma condito con salsa romana. I contenuti inconsci, quindi, e anche i sentimenti religiosi, che sono loro strettamente legati, devono essere “consumati” qualsiasi sia la “forma esteriore”: il Calvinismo, il Puritanesimo, il Luteranesimo ed il Cattolicesimo (la salsa romana) hanno tutti pari dignità di fronte al Sommo Bene, la Pace. Sommo Bene che si persegue ed è beneaugurato in modo assolutamente compiuto nel mistico rito della Cena.
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